Domenica, 19 Settembre 2010 17:12

Intervista David Strempel

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davidstrempel_FILEminimizerDavid Strempel, Partner e Fondatore di Strempel & Partners Prima di fondare Strempel & Partners, David era comproprietario e amministratore delegato di Informed Sources Ltd., società di consulenza strategica per l'alta direzione. David Strempel è arrivato ad Informed Sources da America Online UK in cui ricopriva il ruolo di direttore generale. Precedentemente, aveva lavorato presso Bertelsmann ed è stato direttore di strategia per BMG International. David ha iniziato la sua carriera nel 1982 presso KPMG a Francoforte. Successivamente ha lavorato per Price Waterhouse presso cui ha svolto il ruolo di Manager negli uffici di Milano e di New York. Dopo Price Waterhouse è passato ad AWT, Inc. (Veolia Environnement) in qualità di Group Controller.

Per Nevis si e’ dedicato all’individuazione di partner che investissero nel progetto di una nuova ingenierizzazione che avesse basso impatto ambientale. Quali motivazioni spingono a “scommettere” su un progetto?

Purtroppo in Italia è pressoché impossibile trovare soggetti pronti a scommettere su nuove iniziative o sull’innovazione  indipendentemente dal merito del progetto, come risulta dai dati di AIFI/PwC circa l’attività di investimento di Private Equity / Venture Capital in Italia: soltanto l’1% del totale investito nel 2006 era destinato alla categoria Seed/Start-up. È dimostrato inoltre dal fatto che in Italia sono presenti pochi players― secondo la stessa fonte AIFI/PwC soltanto 10 attivi nel segmento Early Stage, fra i quali solo il fondo Innogest Capital opera come un vero fondo di Venture Capital in questo paese. Considerando questa situazione, per NEVIS abbiamo dovuto guardare all’estero e ci siamo rivolti ai costruttori di motori e a fondi di venture capital attivi nel segmento di innovazione nel consumo energetico. La motivazione per i costruttori di motori ( quelli aperti a tecnologie sviluppate esternamente – ossia non sempre le grandi case automobilistiche ) è rappresentata dall’accesso a tecnologia in grado di fornire un vantaggio competitivo. Per i fondi esiste la possibilità di un rendimento che giustifica il rischio di una scommessa. In aggiunta, ci sono alcuni fondi promossi da paesi esportatori di petrolio per i quali le prerogative di NEVIS - di raddoppiare quasi l’efficienza in confronto con i motori tradizionali – sono alla base dell’obiettivo di tali fondi di individuare tecnologie che consentano di prolungare l’uso di petrolio come fonte energetica. Considerata la difficoltà di seguire progetti innovativi in generale e soprattutto in Italia, per adesso ci siamo limitati a due progetti innovativi: NEVIS e il progetto Mercury. Mi auguro che il mercato del capitale a rischio riesca a svilupparsi maggiormente in Italia per rendere questa attività più attraente sia per i soggetti che sviluppano progetti innovativi sia per noi professionisti che possiamo dare un contributo importante all’attuazione di tali progetti.

La sua esperienza e’ internazionale. Quali differenze tra M&A Italiano e internazionale?

Credo che l’M&A in Italia si divida in due parti. Per le grandi operazioni, ossia per importi superiori a circa 250 milioni di Euro, credo che ci sia poca differenza. Dove forse è molto diverso è nel settore delle PMI, sia per gli imprenditori che per i professionisti che storicamente li hanno seguiti. Per gli imprenditori una delle differenze consiste nella dimestichezza con concetti di trasparenza e finanza (IAS, US GAAP, etc.) che vanno oltre una dimestichezza con il codice civile. Nei paesi anglosassoni quasi tutte le società sono revisionate, o per obbligo- come nel Regno Unito- o per necessità per poter accedere a normali finanziamenti, come negli Stati Uniti. Sono convinto che questa maggiore esposizione alla revisione sviluppi nelle PMI degli Stati Uniti e del Regno Unito una migliore preparazione necessaria a capire gli elementi important nell’ acquisizione o nella cessione di un’azienda. L’altro elemento di differenza con le PMI in Italia è dato dalla mancanza di manager di peso che affianchino l’imprenditore mentre all’estero, anche in società di proprietà familiare, esiste un forte coinvolgimento di persone scelte per le loro qualifiche professionali. In Italia, dunque, l’imprenditore-proprietario spesso gestisce tutto, fattore che nelle operazioni di M&A può rendere la situazione diversa rispetto all’estero. Un vantaggio in questo può essere rappresentato dalla capacità di decidere velocemente mentre gli svantaggi sono che l’imprenditore italiano spesso non ha l’abitudine di accettare suggerimenti e non è circondato da manager che lo assistono in un processo spesso del tutto nuovo e complesso. Accanto ai professionisti che seguano le PMI in Italia ci sono spesso i commercialisti che sono un riferimento perenne per la finanza ordinaria. Quando arriva il momento della operazione di finanza straordinaria (operazione di M&A) spesso i commercialisti sono chiamati a seguire il processo. Visto che si tratta di un evento straordinario che richiede una preparazione particolare, non è un caso che all’estero il mestiere di Advisor di M&A sia una professione in sé ben sviluppata. Incaricando un esperto di M&A come noi o altre società simili alla nostra credo si riesca a creare maggior valore sia per chi vende che per chi compra. Il commercialista fa parte di un team che insieme ad altri professionisti quali avvocati, revisori, etc. assiste nell’operazione. Questa problematica è in parte trattata nella recente pubblicazione Guida M&A a cura del tavolo di lavoro M&A di AIFI al quale ho partecipato: con questo documento si è cercato di dare all’imprenditore un’overview del processo di M&A.

Quali settori dell’impresa italiana sono al centro dell’attenzione di investimenti stranieri?

Forse è più facile indicare le tipologie di società in cui non ci saranno investimenti, ossia, a mio avviso, tutte quelle caratterizzate da una forte componente di fabbricazione o mano d’opera. Tuttavia sono spesso stupito delle società che in Italia occupano una nicchia di mercato e sono caratterizzate da un vantaggio competitivo basato su una forte componente di Intellectual Property. Qui spesso il limite e al tempo stesso l’opportunità di investimento consiste nell’aiutare le imprese Italiane a diventare più grandi, non solo in termini di fatturato e copertura di mercati, ma anche a raggiungere una grandezza tale da consentire loro di competere in un mondo pieno di multinazionali di grandi dimensioni. Perché soltanto società di una certa dimensione possono avere una struttura professionale ed essere competitive a lungo termine in un mondo globale in cui essere piccoli come le tante PMI in Italia è uno svantaggio. Relativamente al settore di M&A questo può anche voler dire assistere clienti a creare - con la metodologia di Roll-Up – società di dimensioni competitive a livello internazionale.

Strempel & Partner ha partecipato al Progetto Mercury dedicato all’innovazione tecnologica per ridurre gli svantaggi competitivi italiani. Quali sono secondo lei gli svantaggi che vanno risolti?

Per le sue dimensioni, l’Italia conta troppo poche grandi imprese che aiutino a creare e a formare il sistema-Paese che le circonda, anzi, è nota per il gran numero di imprese piccole e frammentate. Pur essendo un grande Paese facente parte del G8, è uno dei piccoli in questo gruppo senza una lingua diffusa come l’inglese o lo spagnolo, o anche il francese. Tenendo conto di questi svantaggi, l’Italia deve cercare di creare realtà di dimensioni maggiori, di sfruttare la propria creatività e ricchezza culturale e di incrementare la propria efficienza per migliorare la competitività. Nel suo piccolo, il Progetto Mercury ha cercato di risolvere un road block nella realizzazione di una maggiore efficienza nella Supply Chain italiana. L’obiettivo del progetto, realizzato con un prototipo, era di permettere lo scambio di dati elettronici per ottenere maggiore efficienza nel Supply Chain management e nei processi amministrativi fra società diverse con sistemi gestionali diversi. In questo caso per ovviare alla mancanza di capitale a rischio per iniziative Early Stage, abbiamo lavorato con i nuclei costituenti delle principali software house italiane (Infocamere, Zucchetti, Sistemi, Microarea, Passepartout, Il Sole 24 ORE e Wolters Kluwer) riunendole per il tramite della forma consortile.

Si e’ occupato di Media, tecnologia, editoria. Una esperienza totalmente orientata verso i settori dell’innovazione pura. Può definire la sua società come dedicata all’innovazione?

In breve: no. Come ho detto prima, noi ci siamo limitati ad essere coinvolti, per adesso, in due progetti innovativi soltanto. Sono troppo poco redditizi per noi in un contesto italiano dove manca quasi completamente un mercato del capitale a rischio per le società “early stage”. Purtroppo per l’Italia, questo ha un impatto a catena. Siccome non ci sono i fondi - non esistono professionisti formati nella parte “business” dei progetti innovativi. Visto che per un mercato del capitale a rischio è necessario anche questo coinvolgimento ( un terzo del ricavo della mia società di consulenza strategica a Londra era derivato da rapporti con fondi di private equity per questo tipo di assistenza), mancano i presupposti per espandere quel poco che c’è in Italia. Invece il mio passato in media e tecnologia, settore caratterizzato da una forte componente di innovazione - è un’esperienza che credo sia utile ai nostri clienti provenienti da settori molto diversi fra loro. Dove c’è innovazione, tipicamente si verifica anche uno sviluppo frenetico di nuovi modelli di business e nuovi modi di fare concorrenza. Nel mondo di oggi dove la competizione è ormai globale, cambiamenti di questa natura riguardano quasi tutti ormai, e sopratutto le SME in Italia. è proprio qui che noi, come Strempel & Partners, abbiamo deciso di concentrare i nostri sforzi – ossia cercando di aiutare gli imprenditori a prepararsi per superare queste sfide - spesso tramite operazioni di M&A.

Quali strategie sono indispensabili alle piccole e medie imprese per poter crescere?

Essere pronti a rischiare. Vorrei ricordare che negli Stati Uniti non è un disonore aver subito un fallimento (non fraudolento, si intende) ma viene considerato come esperienza. In Italia, senza rischiare il fallimento, è sufficiente che si stabiliscano degli obiettivi e si elabori un piano operativo per raggiungerli – sapendo che non basta un’idea nella testa dell’imprenditore, ma è essenziale un piano di sviluppo che quantifichi le risorse necessarie, indichi le modalità di reperirle e il modo in cui avverrà l’implementazione Essere pronti ad investire nella propria azienda e pronti a creare e ad aumentare i vantaggi competitivi o, in assenza di vantaggi competitivi, a rendersi conto che magari si rende necessario un disinvestimento e una nuova iniziativa in un settore più promettente Riconoscere che, a lungo termine, sono necessarie realtà più grandi, quindi o essere colui che compra o colui che vende per consentire a questo processo di proseguire per creare leader nazionali sufficientemente importanti per competere a livello globale Creare un management team professionale capace di far squadra – ossia l’imprenditore non può essere esperto di tutto né avere il tempo per risolvere tutto. Le imprese e le famiglie che stanno dietro le imprese trarranno maggior beneficio dalla scelta del “miglior” manager e non del manager legato da vincoli di parentela o raccomandato. Capire i vantaggi della trasparenza (accesso a mercati di capitali, partner internazionali e preparati ad eventuali cessioni) Al di fuori del controllo delle PMI, il sistema-Paese deve cercare di incrementare il capitale a rischio disponibile per consolidare la frammentazione delle imprese in Italia

Quali tappe suggerisce per società che intendano espandersi all’estero?

Torno ad insistere su dimensioni e management professionale. Se si considera la dimensione media delle società tedesche, inglesi, francesi e anche americane, quando queste vanno a competere all’estero possiedono già una certa dimensione che le rende più attrezzate per vincere questa sfida. Dipende dal settore e dai prodotti, ma sono convinto che per essere veramente presenti su un mercato straniero sia necessaria una presenza stabile in quel paese o almeno nella regione che copre diversi paesi. Già questo fattore presenta di per sé una sfida non da poco per tante imprese italiane gestite da un imprenditore-proprietario. È importante avere la capacità e una struttura all’interno della quale si possono delegare responsabilità. In caso contrario, forse la società non è pronta per l’espansione internazionale.

Quali suggerimenti darebbe a finanzastraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle sue esigenze di un professionista?

Potrebbe essere utile esaminare con i diretti partecipanti una serie di case histories creando una parte dedicata all’analisi e all’approfondimento teorico di tali casi con il progressivo confronto fra aspetti teorici e relativa applicazione pratica.

Editor finanzastraordinaria © www.finanzastraordinaria.it 2009

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