I più quotati

I più quotati (8)

Domenica, 19 Settembre 2010 12:43

Intervista Lorenzo Coppini

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Lorenzo Coppini - Amministratore B&C Speakers

Amministratore (Consigliere delegato, Socio e membro del Consiglio di Amministrazione della R&D Development S.r.l.). Inizia la sua esperienzaLorenzo_Coppini_FILEminimizer professionale in B&C nel 1993. Dal 1995 ricopre la carica di membro del Consiglio di Amministrazione con deleghe al marketing e alle vendite. Nata nel 1977 dalla collaborazione tra il Presidente Roberto Coppini e Ferdinando Borrani a Bagno a Ripoli (Firenze), B&C Speakers si occupa a livello internazionale di progettazione, produzione, distribuzione di trasduttori elettroacustici ad uso professionale.

Cosa è cambiato dopo l'ingresso in Expandi nella definizione delle strategie della società?

Certamente c’è stata una crescita culturale, si sono allargati i confini dell’azienda e anche le strategie hanno avuto nuovi obiettivi.

Ci si guarda intorno con più curiosità: prima eravamo concentrati su noi stessi, ora abbiamo strumenti concreti e finanziari precedentemente irraggiungibili che permettono la crescita dell’azienda per linee esterne.

Quali riflessioni vi hanno portato a decidere per Expandi piuttosto che l’investimento in un fondo PE?

Il Fondo di Private Equity era stato preso in considerazione molto da vicino ma ci sembrava avesse come unico sbocco decisamente positivo lo sbarco in Borsa. A quel punto abbiamo pensato che ci potevamo arrivare con le nostre forze. In più con il Fondo si sarebbe creato un debito molto importante per la società che per nostra natura non eravamo disponibili a valutare. Inoltre la way out richiesta dal fondo può diventare una difficoltà.

Quali nuovi frontiere si sono aperte dopo la quotazione per la vostra società?

Abbiamo avuto un forte stimolo a giocare una partita con confini più ampi, a confrontarci con interlocutori prima distanti, primi tra tutti i nuovi soci della nuova società quotata. Grazie a questa nuova impostazione si comincia a pensare con una mentalità diversa per agevolare la crescita della società orientandosi anche su scommesse più coraggiose.

Se lei dovesse amplificare alle altre PMI un messaggio per descrivere la vostra esperienza di quotazione cosa direbbe? Quali consigli darebbe?

C’è da tenere in considerazione che andare in Borsa porta benefici più che strumentali (noi non avevamo un bisogno eccessivo di un supporto esterno in termini finanziari) ma è un passaggio laborioso. In primis bisogna essere culturalmente disposti a condividere il valore della trasparenza assoluta e questo può non piacere a tutti. Se dovessi dare un consiglio certamente direi di prepararsi ad un cambio di mentalità, altrimenti si rischia di soccombere. Un altro fattore molto importante da considerare è che l’imprenditore, in una fase che è nuova e stimolante, stia attento a non farsi troppo coinvolgere dagli aspetti finanziari, ma che si concentri sul proprio lavoro e tenga i piedi poggiati a terra.

Come riuscite a gestire a livello internazionale il doppio canale di vendita distributori e clienti finali?

I clienti OEM (industriali), per i quali realizziamo un prodotto specifico e che rappresentano il 75% del fatturato, vengono forniti direttamente, con il consenso dei nostri distributori. A volte può accadere che un piccolo costruttore, che compra dal distributore, voglia essere servito direttamente da noi, e questo può creare un motivo di negoziato con il distributore. Normalmente la rete distributiva a livello internazionale si sviluppa in 70 paesi a cui si vende il prodotto a catalogo.

Lei è la seconda generazione entrata in azienda. Ci può raccontare la sua esperienza, quali sono stati i passi decisivi e le difficoltà nell'inserimento?

Credo che in primis sia il rapporto umano che si ha con il genitore a condizionare lo svolgimento del passaggio, in secondo luogo dipende dalle inclinazioni della seconda generazione, dalla sua affinità per studi, formazione, attitudini e motivazione nei confronti dell’azienda. Nel mio caso specifico il rapporto con mio padre era ed è ottimo, inoltre come architetto e musicofilo, ho trovato sempre molto stimolante un’attività manifattureria, quella della produzione di altoparlanti, in cui si incontrano artigianalità, design e tecnologia. Il mio ingresso è avvenuto nel momento del salto qualititativo da azienda con orizzonte quasi esclusivamente nazionale a più stimolanti sfide globali. Credo che grazie a mio padre ed al prezioso team direzionale della B&C si sia ottenuto un ottimo risultato, visto che si esporta oltre l’85% del prodotto.

Qualche consiglio prezioso di suo padre?

Il grande messaggio che mi ha trasmesso mio padre: riuscire a trovare bravi collaboratori, capire quali persone sono importanti per il futuro aziendale che poi è anche il tuo futuro, indirizzare le persone giuste nel punto giusto. E la capacità di ascoltare le esigenze degli altri.

Qualche consiglio per i giovani che si trovassero nella situazione di “subentrare” ad una prima generazione?

Porsi sempre una domanda sulle proprie aspirazioni anche per il bene dell’azienda. Se uno ha una aspirazione personale di natura diversa perché frustrarsi? Come altri consigli direi di dare un’occhiata all’azienda prima di decidere e, una volta deliberato l’ingresso avere la saggezza di non mettersi in conflitto con la prima generazione, e caso mai cercare i punti su cui migliorarne il lavoro.

Cosa pensa di una formazione esterna?

Sono assolutamente d’accordo, il passaggio da famiglia ad azienda di famiglia deve essere comunque discontinuo. Ci deve essere un momento (e nemmeno breve) in cui una persona sviluppa una propria conoscenza delle cose del mondo in modo autonomo. Altrimenti che contributo potrà portare all’azienda? E’ bene imparare a gestire i Rapporti con il fuori. Io ho fatto tante cose prima di venire qui e penso siano risultate utili.

Lei definisce il vostro un mercato di super nicchia. Quale mercato “di nicchia” consiglierebbe per un giovane imprenditore che oggi volesse realizzare una start up?

Se avessi una risposta chiara la farei io la start up. Penserei a qualcosa relativo allo sviluppo tecnologico, che poi è quello che tiene in vita un sistema economico nazionale, e che guardi al futuro. Normalmente ci sono più soldi che idee. Bisogna non farsi scoraggiare sul versante dei finanziamenti. Mi auguro che inoltre i giovani possano essere agevolati anche da un più positivo rapporto tra aziende e istituzioni, tra pubblico e privato, in modo che queste collaborazioni siano di supporto allo sviluppo di progetti innovativi, magari nati da spin off universitari.

Le vostre apparecchiature necessitano di un costante aggiornamento tecnologico. Come sviluppate questi sistemi avanzati? Avete partnership con università e ricercatori?

L’elettroacustica è una tecnologia antica e dunque per assurdo difficile da far progredire. Si può solo procedere per piccoli passi, studiando l’impiego di nuovi materiali, e naturalmente affinando sempre di più i controlli di processo e di qualità prodotto. Aggiungo che il nostro settore è un po’ negletto dall’Università Italiana, il che crea non poche difficoltà all’azienda quando si voglia assumere nuovo personale tecnico - si va spesso a confrontarsi con ricercatori che si sono occupati solo marginalmente di elettroacustica. Diverso è il discorso in altri paesi Europei, tra tutti Regno Unito e in Germania, in cui esistono strutture di ricerca sul suono molto avanzate e dove si offrono corsi di laurea specialistici che spesso portano all’estero anche i nostri talenti.

Le vostre apparecchiature diffondono emozioni e sogni. Che cosa sognava quando è entrato in azienda e cosa si augura per il suo futuro professionale?

Sognavo di dare un contributo utile all’azienda, di farla crescere, lavorando con passione e divertimento. A lunga scadenza per il mio futuro professionale mi piacerebbe essere tra i promotori di un centro per l’innovazione tecnologica in campo audio, per anticipare le nuove tecnologie e non solo doverle “subire”.

Se lei potesse diffondere con un vostro altoparlante un messaggio per dare un consiglio ai giovani, che cosa direbbe loro?

Di studiare e di saper difendere le proprie idee soprattutto se “diagonali”, sottraendosi all’omologazione diffusa a cui assistiamo in questi ultimi anni che certo non è il miglior humus da cui veder nascere nuove iniziative imprenditoriali vincenti.

Domenica, 19 Settembre 2010 14:13

Intervista Giovanbattista Pizzimbone

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Giovanni Battista Pizzimbone - Presidente e Amministratore Delegato - Biancamano Presidente e Amministratore delegato di Gruppo Biancamano,GBPizzimbone_FILEminimizer entrata nel mercato Expandi il 7 Marzo 2007.Nato a Savona inizia la sua carriera professionale nell’azienda di costruzioni Borini a Torino. Nel 1988 crea l’impresa edile Eurocostruzioni per poi assumere nel 1996 l’incarico di direzione dell’azienda Ponticelli di Imperia. Nel 2004 nasce la società Biancamano, fondata insieme al fratello Pierpaolo. Oggi Biancamano S.p.A. è una holding di partecipazioni operativa nel settore dell’igiene ambientale. Svolge la sua attività grazie a due società controllate Ponticelli (gestione e realizzazione impianti di stoccaggio e smaltimento rifiuti non pericolosi) e Aimeri Ambiente (servizi di igiene urbana).

Finanzastraordinaria.it ha incontrato Giovanni Battista Pizzimbone, amministratore delegato di Biancamano, gruppo costituito da Aimeri e Ponticelli ma che vede a Milano la sua base operativa, come ci ha spiegato: “Il coordinamento è centrale viene fatto qui negli uffici di Milano, soprattutto per quello che concerne l’aspetto amministrativo.

Per quanto riguarda l’organizzazione operativa e gestionale, Ponticelli opera prevalentemente nel Ponente ligure: ha in provincia di Imperia un impianto di smaltimento di rifiuti solidi urbani e di un centro di stoccaggio per i rifiuti e la raccolta differenziata. Ponticelli è organizzata in maniera industriale perché ha un ciclo abbastanza ripetitivo: entra il rifiuto, poi viene trattato, e successivamente ci sono il recupero e lo smaltimento.  Aimeri, sotto l’aspetto gestionale e contabile-amministrativo, ha base a Milano ed è presente in 10 regioni in Italia, ognuna delle quali ha un proprio responsabile, accompagnato a cascata da responsabili di quartiere e responsabili di squadra.”

Giovanni Battista Pizzimbone è approdato al settore dell’igiene urbana e dello stoccaggio dopo avere lavorato nel settore dell’edilizia e la molla che lo ha convinto a scegliere la nuova strada è stata quella “dell’amore a prima vista” come lui stesso ci dice, unita alla consapevolezza dell’importanza a livello umano ed ambientale che il lavoro di Biancamano realizza quotidianamente. Una attenzione che si concretizza nel costante monitoraggio del servizio offerto senza intaccare tuttavia gli elementi che caratterizzano territorialmente le diverse aree italiane in cui si opera: “un modello base uguale per tutte le regioni e una parte studiata ad hoc per ogni singola località in cui si opera.

Abbiamo dei modelli di organizzazione di gestione molto rigidi perché dobbiamo rispettare il territorio e mantenere degli standard qualitativi.” L’ingresso in Expandi avvenuto il 7 Marzo 2007 è stato fortemente voluto da Pizzimbone: “Non ho mai preso in considerazione la soluzione relativa al fondo di Private Equity. La quotazione in Borsa è stata scelta per seguire un processo di crescita e di immagine. Il nostro è un settore in cui i clienti appartengono ai settori pubblici e quindi avere l’immagine e la trasparenza che la Borsa conferisce, permette di farci seguire con maggiore facilità dal mercato e dalla nostra produzione.” Un passaggio quello della quotazione che, oltre ad una serie di vantaggi ha comunque comportato degli oneri “normativi ed amministrativi”, ma anche forti aspettative e cambiamenti:

“Entrando in uno scenario come quello della Borsa si trasmette trasparenza e si acquisisce una ulteriore patina di serietà, determinata anche da monitoraggi costanti e certificazioni. Nei rapporti quotidiani con i nostri clienti, soltanto per il fatto di avere un fornitore che, come noi, è un’azienda quotata, la nostra immagine sicuramente cambia.” Insomma per Pizzimbone, che si dichiara “uno non da azzardi” e “concreto e strutturato”, l’esperienza della quotazione è stata più caratterizzata dalle aspettative e dalla consapevolezza di traghettare il Gruppo Biancamano verso obiettivi importanti piuttosto che da timori ed incertezze. Certamente i risultati ottenuti dal Gruppo dopo la quotazione hanno ricompensato questa scelta e le aspettative riposte, tanto che è stata presentata un’offerta per l’affidamento di una discarica a Tunisi ed è iniziata una espansione verso l’estero: “stiamo vendendo in Romania, in Pakistan e grazie alla borsa siamo diventati un punto di riferimento - siamo l’unica azienda quotata sul mercato italiano - per altri paesi, sia del Nord Africa che dell’Est Europa.”

Ma come avviene la scelta delle gare d’appalto, quali elementi sono ritenuti discriminanti? “L’elemento che privilegiamo nello scegliere un appalto è quello delle redditività: oggi, in quanto imprenditori con tanti soci, dobbiamo condividere il nostro operato. Quindi diamo importanza a tutte quelle opportunità che vediamo come redditizie. La nostra presenza in Italia va dalla Valle d’Aosta alla Sicilia e l’unica discriminante che ci poniamo è la redditività per partecipare agli appalti che ci prefiggiamo di vincere.” Un percorso di espansione importante, che può contare anche su scelte tecnologiche: “Il controllo di gestione è il nostro punto forte rispetto ai nostri competitors: abbiamo sviluppato infatti al nostro interno un software di gestione che riesce a monitorare in tempo reale sul territorio gli automezzi presenti così da verificarne l’efficienza nel servizio e nei costi nelle principali voci di spesa (automezzi, personale, carburante).”

Una tecnologia che si avvale anche di personale qualificato scelto in prevalenza tra “ingegneri informatici e ambientali sia su Milano che su Torino o studenti che hanno realizzato una tesi molto vicina al nostro settore. Per quanto concerne la crescita io sono per la crescita interna: per questo abbiamo un reparto IT in cui noi sviluppiamo internamente i nostri software.” E rivolgendoci ancora più al futuro chiediamo quali siano i nuovi strumenti su cui puntare: “le attività derivanti da energie di fonti alternative. Soprattutto alcune, come la solare. Quello delle energie alternative, può essere considerato come un settore inflazionato, ma su altri settori, come le biomasse e l’eolico, secondo me c’è ancora molto da fare, ma occorre anche aspettare l’evoluzione normativa soprattutto per quanto riguarda l’incentivazione e valutare in modo preciso i tempi occorrenti tra la decisione di produrre e la fine della produzione: si corre il rischio che il prodotto sia obsoleto appena realizzato.”

Un futuro pulito, nel rispetto dell’ambiente non può prescindere da una corretta educazione ambientale, che, come ci conferma Giovanni Battista Pizzimbone va promossa anche sotto forma ludica, partendo da bambini: “Come azienda abbiamo degli obblighi morali e sociali a contribuire al benessere dell’ambiente in cui operiamo. Penso che per educare i grandi occorra prima educare i bambini: se i bambini vengono educati con tutta una serie di azioni, per esempio nell’ambito dell’educazione scolastica, sarà il figlio a casa ad educare il genitore. Credo molto nelle campagne di sensibilizzazione che portiamo avanti nelle scuole, in particolar modo in quelle elementari dove il bambino assorbe come una spugna tutta quello che gli viene presentato come un gioco: la raccolta differenziata da gioco passa ad abitudine.” A proposito di tematiche attuali chiediamo anche a Giovanni Battista Pizzimbone cosa pensi del problema annoso dei rifiuti in Campania: “Mi sembra che questo Governo stia lavorando bene per la risoluzione del problema in Campania. Si è accumulata una tale disorganizzazione sul territorio che ci vorrà del tempo tecnico per potersi riorganizzare, però mi sembra che stia procedendo bene. E’ stata già pianificata la costruzione di una decina di discariche, la valorizzazione dei termoregolatori e per quanto riguarda le tempistiche (riguardo alle quali mi sono espresso anche quando sono stato ospite di Porta a Porta) potranno volerci circa 6 mesi per sistemare le emergenze vere e proprie e poi non meno di 3 anni per riorganizzare la questione economica per lo smaltimento dei rifiuti.”

Infine proiettandosi su un’altra città, in un’altra epoca, arriviamo a parlare di Expò 2015 e di come si immagina Pizzimbone il percorso che condurrà verso questo straordinario evento: “sicuramente, come accade in tutte le situazioni importanti, per l’Expo 2015 Milano sarà meravigliosa perché avremo gli occhi del mondo puntati. Sarà un evento con un impatto sicuramente maggiore di quanto non sia successo a Torino con le Olimpiadi invernali. Una volta finiti i fondi dell’Expo, dovranno però essere mantenute tutte le strutture realizzate e l’Expò dovrà costituire un volano per molte altre manifestazioni che incentivino a mantenere pulita Milano, che altrimenti rimarrà una capitale nel deserto sporca.”

La nostra intervista volge al termine ma non lasciamo andare il nostro interlocutore senza un suggerimento a FinanzaStraordinaria.it che possa essere un ulteriore incentivo a migliorare e andare sempre più incontro alle esigenze dei nostri professionisti: “Siamo noi a partorire i nostri stessi limiti. Quando ci sono passione, volontà e capacità i risultati arrivano sempre: sacrificio e crederci sono i due elementi base per realizzare i progetti.”

E sicuramente in questa intervista Giovanni Battista Pizzimbone ci ha trasmesso tutta la sua passione per il suo lavoro in Biancamano, unitamente alla ricetta, da buon appassionato di cucina, per i giovani che desiderino diventare manager di successo: “un piatto semplice. Uno spaghetto al dente al pomodoro e basilico. La semplicità è il miglior ingrediente accompagnata soprattutto dal credere in ciò che si fa”.

Domenica, 19 Settembre 2010 14:16

Intervista Simone Cimino

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Simone Cimino - Presidente e Fondatore Cape Nato ad Agrigento, laurea con lode all'Università Bocconi e borsa di studio alla New York University nelSimone_Cimino_FILEminimizer 1983. Lavora per 7 anni in Montedison sotto la guida di Giuseppe Garofano. E' poi Partner e A.D. di LBO Italia. Nel 1992 si mette in proprio, fondando Advance. Fonda nel 1999 la spa Cimino & Associati Private Equity di cui è Presidente; in poco tempo attira l'attenzione del gruppo francese Natixis con cui crea un accordo nel 2001. Nel 2003 nasce la società di gestione del risparmio Cape Natixis Sgr S.p.A.. L’attività di investimenti culmina con la nascita della Sgr e la raccolta del suo primo fondo gestito, Cape Natexis Private Equity Fund (gennaio 2004).

Cape promuove nel 2008 un fondo immobiliare e avvia i lavori del fondo dedito esclusivamente alle PMI Siciliane. Simone Cimino ricopre inoltre la carica di Vice Presidente di Arkimedica, quotata Expandi, Vice Presidente di Cape Listed Investment Vehicle, quotata su MTF, Presidente della Fondazione Financidea e Consigliere dell'Aifi e dell'European Venture Capital Association

Quale è stata la motivazione che l'ha spinta a fondare Cape? Quali obiettivi si era posto all'inizio del progetto?

Cape è nata nel Febbraio del 1999 con lo scopo di creare una società di Private Equity specializzata negli investimenti di piccole imprese. In particolare mi rivolsi ad investitori privati, piccoli imprenditori e consulenti professionisti che avevo conosciuto in quegli anni e che avrebbero potuto sottoscrivere l’impegno per la creazione di un piccolo fondo.

Il passaggio generazionale spesso rappresenta un momento delicato per la vita di una PMI. Il Fondo di Private Equity può essere la soluzione per salvaguardare l'impresa?

Abbiamo fatto del passaggio generazionale la nostra stessa ragione di esistenza. Ad oggi abbiamo 37 partecipate e facciamo un investimento al mese da circa tre anni. Dal momento della nascita di Cape ad oggi, abbiamo realizzato oltre 55 investimenti tutti relativi a piccole o medie imprese che necessitano di un passaggio generazionale e di sviluppo. Il ricambio generazionale deve innanzitutto essere fondato sui meriti e non su scelte dinastiche. Se all'interno di un nucleo famigliare ci sono dei meriti è certamente positivo trasmettere ai componenti l’azienda, ma se così non fosse, è necessario avere il coraggio di affrontare anche l'innesto di energie esterne. Se una famiglia è in grado di proseguire da sola anche dal punto di vista finanziario oltre che manageriale, non ha bisogno di un fondo di Private Equity, non serve nemmeno la Borsa. Se invece non ha risorse finanziarie da impiegare nell’azienda o ha la necessità di fare uscire un socio, allora il Fondo è la soluzione percorribile.

Tre buoni motivi per optare per il Private Equity piuttosto che per un’altra forma di finanziamento.

Ogni realtà ha bisogno di cambiamento per vivere bene. La forma del Private Equity comporta una condivisione del rischio ed è una scelta ”sana” se si è aperti a una Governance “invasiva”. La Borsa ancorchè apra alla trasparenza, presenta una Governance che non può definirsi mai invasiva. La Governance del Private Equity comporta una scelta di fondo più incisiva: il Fondo pretende di avere una voce in capitolo molto più forte rispetto alla Borsa. Ha i diritti per esercitarla e ha elementi contrattuali sottoscritti ad autorizzarla, entra in casa dell'azienda e in quella casa ha voce autorevole. Qualora la famiglia non abbia predisposizione ad avere una società a fianco il Private Equity non va bene.

Quali sono le motivazioni che portano a concludere un’operazione di Private Equity? Quali i vantaggi che si aspettano di ricevere coloro che partecipano all’operazione?

Bisogna diversificare almento tre punti di vista principali: investitori, gestori e impresa. Gli investitori si aspettano un ritorno ambizioso (30% del ritorno composto annuo al lordo delle spese e delle commissioni, quindi intorno ad un 24-25% di ritorno composto annuo netto). La storia dimostra che in oltre trent’anni il Private Equity ha sovra performato rispetto alla Borsa quindi ha dimostrato di essere uno strumento di ritorno del capitale investito migliore degli indici di Borsa. L’ottica dei gestori può definirsi più industriale che finanziaria. Noi passiamo più tempo accanto alle aziende a studiare prodotti, logistica, situazione internazionale, clienti, strategie e non ad occuparci di valute, tassi, ratei. Studiamo clienti ed investitori, costruendo una stabilità di relazioni con l’impresa molto duratura poiché i rapporti di partecipazione durano dai 4 ai 6 anni. Pertanto i gestori riscontrano il risultato dopo 8-9 anni dalla semina, diversamente gli altri operatori di finanza e borsa hanno un ritorno immediato. Dal punto di vista dell'impresa, considerando anche la sua situazione storica, il vantaggio è avere un socio di capitale con cui condividere il percorso.

Quale il bilancio della quotazione di Arkimedica nei suoi pro e contro a distanza di due anni?

Arkimedica è il più bel progetto industriale e borsistico che abbia potuto concepire. Industriale perchè quando l’ho concepito sognavo di mettere insieme realtà diverse (Sogespa, Delta Med, Icos) e farne un unico polo che avesse le energie per diventare il primo operatore italiano per l'assistenza agli anziani. Ci quotammo con circa 300 posti letto in gestione, due anni dopo ne avevamo 3000. Il fatturato iniziale era basso (10 milioni di euro), oggi più di 65. Il gruppo si quotò con 90 milioni di fatturato. Oggi l'ebitda dovrebbe essere doppio rispetto a quello di quotazione. In 2 anni pertanto le capacità di delivery sono state superiori alle attese grazie anche ad un modello di business che ha funzionato e sta portando risultati. La quotazione è stata un’esperienza importante e forte ma realizzata mantenendo un approccio rispettoso nei confronti dei bisogni dell'azienda e del mercato. Un puro 95% fu ops, fu raccolto capitale per la crescita. Un anno dopo riuscimmo a raccogliere 28 milioni di euro con il 5% di rendimento utilizzando un bond convertibile. Abbiamo raccolto in 2 fasi 56 milioni di Euro su Expandi. E' un progetto che rifarei e che la borsa ha saputo sostenere.

Quali caratteristiche rendono una PMI appetibile per l'investimento da parte di un Fondo?

In riferimento ai miei fondi posso dire che le piccole medie imprese target presentano caratteristiche specifiche: l’ubicazione nel centro nord (area principale dove investiamo), un margine operativo lordo superiore al 10%, un costo come intervento di un multiplo intorno a 5 volte il valore dell’ebidta e la disponibilità da parte dell’imprenditore / socio a rimanere con noi. E’ interessante che diano una Governance di uscita paritetica al socio di maggioranza.

Quali cambiamenti avvengono dopo l'ingresso del Fondo nella compagine societaria?

Il Fondo non pretende di gestire l'azienda ma certamente necessita di una Governance paritetica relativamente a quelle decisioni non ricorrenti come per esempio per deliberare acquisizioni, investimento e via d'uscita. Le strategie di crescita si delineano prima così come gli equilibri vanno contrattualmente impostati prima. In che modo si possono ricreare gli equilibri interni dopo l'ingresso di un Fondo? Spesso l'azienda non percepisce l'impatto del Fondo a meno di cambienti radicali nel team manageriale. Ci sono casi in cui l’imprenditore presenta il fondo direttamente al management dell’azienda favorendo l’instaurazione di un clima positivo e motivazionale in un momento di cambio di equilibri. Personalmente mi è capitato nel caso dell’azienda Zappalà, primo ed importante investimento realizzato in Sicilia. In questo frangente mi è stato anche chiesto di diventare Presidente dell’azienda, carica che non era diritto contrattuale del Fondo, ma che hanno ritenuto di propormi in virtù di una chimica personale e del rapporto positivo instaurato oltre che per la stima professionale.

Quali sono gli elementi imprescindibili per portare una società alla quotazione?

Una azienda può riuscire nell’esperienza della quotazione se ha il sogno da vendere e da condividere. L’ingresso in borsa infatti non è più concepibile, come poteva accadere negli anni 70-80 per “scaricare i problemi” al mercato, è finito quel periodo. Il sogno è un desiderio da realizzare, che va coltivato giorno per giorno. Quando non esiste o non è forte anche la quotazione ne risente perché mancando la cura motivazionale si sgonfia il fattore emotivo tra gli investitori e succede che la società venga dimenticata dal mercato. Prima della quotazione esiste una curva motivazionale tra imprenditore, management e dipendenti, la stessa che ad ingresso in Borsa avvenuto, è difficile mantenere. Dovendo tenere sempre sotto controllo gli standard di certificazione e di incremento dei risultati, si crea un rapporto di amore/odio nei confronti del mercato: quando premia è positivo, al contrario è negativo. Bisogna mantenere la coerenza di un piano strategico industriale sottostante, portarlo avanti a prescindere dagli umori del mercato e non andare solo emozionalmente con l'onda. Come avviene la scelta di un advisor che conduca alla quotazione? Quali caratteristiche sono basilari? La scelta di un advisor è difficilissima. Bisogna trovare qualcuno che abbia competenza, intraprendenza e reputazione. L'advisor va adattato alle caratteristiche del singolo progetto. Nell’operazione Trevisan (2003) per esempio scelsi Abax e come Co-leader Centrobanca, era il riferimento giusto in quel momento e aveva il suo spazio sul mercato. Nel 2006 Arkimedica fu quotata da Intermonte che era stata fuori dal mercato per 6 anni e non arrivava sul mercato degli IPO dal 2000.

Lei ha investito nelle imprese siciliane con il Fondo Cape Regione Siciliana. Come è nato il progetto e a quali risultati mirate?

L'idea nasce da una combinazione di fattori oltre che dal fatto di essere nato in Sicilia. Nel 2001 avevo seguito progetti di delocalizzazione sull’isola di imprenditori del nord, curandone gli investimenti industriali. Fu un successo e compresi che era possibile fare business in Sicilia. Nel 2005 partecipai ad un Bando di selezione promosso dalla Regione per la scelta di un investitore di Private Equity nazionale o internazionale che aiutasse per la costituzione di un Fondo di 30 milioni di Euro.

Quali sono i driver su cui contare per sostenere gli imprenditori dell'isola?

I driver di crescita sono gli stessi che si usano al nord. L'obiettivo è investire in 10 realtà industriali. Sarà più che altro capitale per lo sviluppo e non buy out perchè sono aziende che devono crescere e convincere l'imprenditore con gli stessi argomenti del nord.

Come ha incontrato Natixis e su che basi è nata la vostra collaborazione?

Natixis stava cercando in Italia nel Giugno 2001 un professionista che lavorasse per loro. Quando mi contattò Cape era nata già da un anno e mezzo, aveva già dei dipendenti e 5 partecipazioni acquisite. Abbiamo coniugato le aspettative: loro hanno accettato anziché di avere un dipendente di avere un partner, io ho accettato di diventare loro partner. Dopo due anni di fidanzamento in cui abbiamo investito insieme, nel 2003 abbiamo realizzato il fondo SGR italiana da 120 milioni di Euro. Da lì il nostro cammino è proseguito fino ad oggi in modo molto soddisfacente. Le basi della collaborazione sono molto chiare: loro sono gli sponsor dei nostri fondi e mettono circa un quarto dei mezzi che noi raccogliamo ricavando un quarto dei benefici economici di queste gestioni. Per noi sono una disciplina, una forma di prudenza sui nostri investimenti, una sponda e una spinta internazionale per la crescita delle imprese: hanno infatti una ramificazione in tutti i continenti nel mondo private equity e non solo. Si uniscono così due fattori di riferimento per gli imprenditori italiani a cui ci rivolgiamo: Cape rappresenta una sicurezza sul territorio locale, Natixis un partner di minoranza dalle credenziali internazionali.

Quali i mercati internazionali su cui puntare?

Cina ed India in riferimento agli investimenti industriali. Se invece parliamo di Fondi di investimento che devono investire questo è un tema più articolato.

Un sogno nel cassetto: quale obiettivo professionale vorrebbe ancora raggiungere?

Sono obiettivi imprenditoriali. Il mio Sogno di fare di Cape un sistema nazionale di Private Equity cioè essere domestici in ogni parte del territorio dove si possa aiutare un’impresa a diventare più grande. Il progetto Sicilia si muove in questa direzione così come il progetto Cape Centro ossia un fondo dedicato al centro italia, nato da poco tempo. L’Italia è un territorio di PMI ed è questo il bacino più fertile per gli investimenti. Dobbiamo in tutti i modi raddoppiare la massa amministrata da 500 milioni di euro portandola oltre i 1000. La nostra riconoscibilità oggi è ancora limitata alla enclave del Private Equity, Se allarghiamo la nostra percezione a livello nazionale gli imprenditori arriveranno a noi in automatico.

Quale “investimento” secondo lei sarebbe utile per scoprire ed incentivare giovani di talento? Quali consigli darebbe ad un giovane per crescere professionalmente nel suo settore?

Faccio dei giovani la mia forza. Il mio investimento è legato sia alla loro formazione che al coaching. Tutti i giorni quando posso sto con loro, li formo. Da noi ci si butta in mare e si naviga. Pertanto i giovani devono essere curiosi, creativi, molto onesti, avere un’etica di altissimo spessore, sapere di essere esposti al giudizio sui risultati. Il nostro è un sistema meritocratico dove si è pagati sui risultati, il bluff non conta, sono giudizi assoluti non di valore.

Quale è stata la più grande sfida della sua carriera? Quale l'errore che non rifarebbe e quale la più grande vittoria?

La più grande sfida deve ancora arrivare, si è sempre proiettati a fare qualcosa di diverso. Una sfida iniziale fu mettersi in proprio, lasciare Montedison nel 1991 in una fase di grande successo e sviluppo. Non fu una scelta legata alla sicurezza economica ma determinante fu il fuoco dentro, la molla interna, una gran voglia di fare, mettere a frutto le cose imparate. Un errore? Non aver curato bene il mio percorso formativo successivo alla laurea. Subito dopo averla conseguita cominciai a lavorare in Montedison dove rimasi per 5 anni. Non ero mentalizzato sulla carriera. Ho ricevuto una grandiosa formazione sul piano relazionale, manageriale ed istituzionale ma non avevo costruito una relazione internazionale nel campo del Private Equity, così ho perso nove anni rispetto ai miei colleghi.

La sua più grande vittoria?

I miei figli.

Quali suggerimenti darebbe a FinanzaStraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle sue esigenze di professionista?

Mantenere una leggibilità facile e una disposizione chiara dei contenuti e fare una scelta di posizionamento come parlare dei grandi nomi o parlare di piccoli nomi che sono delle chicche.

L’ultima domanda vuole avere una veste spiritosa: uno scoop da comunicare in anteprima ed esclusiva a FinanzaStraordinaria.

Cape Live che oggi ha un patrimonio netto di 68 milioni e in borsa ne vale 34 Sta studiando delle forme di premio agli azionisti fedeli per riportare il valore del titolo in linea con nav.

Domenica, 19 Settembre 2010 14:19

Intervista Patrizio Colombarini

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Patrizio_Colombarini_FILEminimizerPatrizio Colombarini- Consigliere di Sorveglianza Monti Ascensori Classe 1952, originario di Castel D'Aiano, un piccolo Comune dell'Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna, Patrizio Colombarini inizia giovanissimo a lavorare nel settore degli ascensori in Ceam mentre continua a studiare per laurearsi. Una rapida ascesa diventando responsabile servizi Italia poi nel 1986 in seguito alla cessione di Ceam ad Otis le strade si dividono. E' il 1987 quando Colombarini incontra Walter Monti, titolare di una piccola impresa artigiana nata nel 1975 ad Ozzano Emilia. L'anno successivo nasce Monti Ascensori Servizi di cui Colombarini è proprietario.

Nel 2005 è avvenuta la quotazione in Expandi. Quali motivazioni vi hanno spinto a salire su questa piattaforma di Borsa Italiana?

Avevamo due strade principali: vendere ad una multinazionale, come molti miei colleghi hanno fatto, oppure quotarci in modo tale da effettuare un aumento di capitale alla società tale da consentire una crescita per essere di dimensioni ancora più competitive sul mercato. Abbiamo scelto la seconda. La visibilità, che è stata una conseguenza immediata in termini di immagine che Monti ha avuto andando in Borsa, ha certamente portato un sacco di vantaggi a livello commerciale. Molti clienti che prima non ci conoscevano, hanno incontrato la nostra società dopo la quotazione e ci hanno identificato con un livello forse anche superiore rispetto a quello che è la dimensione attuale del nostro fatturato.

Come potrebbe descrivere la corsa che ha portato ad Expandi dal punto di vista emozionale e strutturale?

Dal punto di vista emozionale questa scelta più che una emozione è stato un incubo. Mi spiego meglio: erano da poco passati i tempi dei casi Parmalat e Cirio, per cui le attenzioni connesse al processo di uotazione da parte degli advisor, della Consob e così via penso fossero un po' (comprensibilmente) esagerate. Abbiamo scelto Expandi immaginando che fosse una operazione un po' più semplice del previsto, il passo della borsa e quello che ci avevano raccontato ci avevano fatto presupporre un approccio meno impegnativo. Invece ci siamo ritrovati a mettere in subbuglio la nostra azienda per dodici mesi. Con uno sforzo terribile dal punto di vista delle risorse, dello stress e degli oneri economici.

Sotto quale punto di vista le aspettative di quotazione sono state diverse: per i cambiamenti strutturali, per gli standard richiesti?

La nostra struttura come tutte le PMI che non sono in borsa è costituita da una organizzazione leggera”: avevamo una trentina di dipendenti e non potevano dedicare delle risorse esclusivamente ad una serie di advisor, persone e controlli. Questo è stato uno sforzo notevole. Tra l'altro noi affidiamo quasi tutto il lavoro in outsourcing per cui la nostra struttura amministrativa e contabile ma anche tecnica è molto leggera e compatibile con i 16ml di euro di fatturato e quindi abbiamo fatto fatica, questo è il dato che mi è rimasto impresso.

E il post quotazione?

Dopo avere sopportato sforzi ed oneri elevati, appena ci siamo quotati abbiamo avuto dei buoni risultati nonostante lo stress e l'impegno siano stati molto rilevanti. I controlli che hanno portato alla quotazione sono stati decisamente severi, efficaci e puntuali il che non è stato certamente un elemento negativo, ma legittimo ed auspicabile. Io sono un entusiasta della quotazione. Nel nostro mercato di riferimento siamo stati automaticamente paragonati ai nostri competitors che altro non sono che le multinazionali. Il nostro settore è caratterizzato da poche multinazionali alle quali oggi i clienti hanno affiancato la Monti, il cui fatturato in realtà è inferiore rispetto al loro, una azienda equiparabile. Un altro indubbio cambiamento e vantaggio è costituito dalla finanza. Si è aperto finanziariamente un mondo che non conoscevamo: se abbiamo necessità di avere un prestito anche per una crescita attraverso linee esterne il problema finanziario è molto minore rispetto a prima. Ho avuto dei ritorni positivi certamente superiori rispetto a quelli che mi aspettavo. L'azienda non è più tua come la potevi considerare prima perchè è del mercato nonostante tu rimanga socio di riferimento, ma anche questo non è uno svantaggio: vivi una vita più tranquilla facendo le cose fatte meglio. Un altro aspetto molto importante da considerare post quotazione è la visibilità elevata: le grandi strutture, le grandi imprese, le banche e gli amministratori di condominio ci hanno conosciuto dopo l'ingresso in borsa con la comunicazione che ne è derivata.

Quindi anche la vostra comunicazione è cambiata?

Prima era inesistente, non ci veniva neanche in mente di avere una struttura di comunicazione. Ora un po' per obbligo di legge un po' per un fatto commerciale abbiamo creato un nostro marketing e ci avvaliamo di un ufficio stampa importante per la nostra struttura che ci ha consentito quella visibilità.

Quali timori e aspettative di fronte ad una avventura così impegnativa quale la Borsa?

I timori man mano che il tempo passa mentre sei sotto quotazione si affievoliscono perchè vedi il progresso dei risultati che ti porteranno all'obiettivo. Inoltre nel nostro caso un ruolo determinante è stato giocato dalla consapevolezza che, nonostante l'impegno richiesto, la nostra azienda avesse già in sè la mentalità di fare le cose in un certo modo. Avevamo una struttura più leggera rispetto ad altre quotande ma certi controlli e certe prassi erano già nel tessuto del nostro modus operandi. Abbiamo visto che ce la potevamo fare seppur con impegno notevole.

Lei ha iniziato a lavorare giovanissimo e avrebbe voluto insegnare. Quale è stata la chiave di volta per arrivare a Monti Ascensori?

Quando ero bambino pensavo di andare ad insegnare ma dopo i primi tre mesi di supplenza ho capito che non era il mio mestiere. Avevo studiato matematica da insegnamento. Così mi sono laureato in matematica mentre lavoravo già da due anni in una azienda importante del settore ascensori. Ho imparato a lavorare lì, rimanendoci per 13 anni. Ho iniziato come facchino in officina, poi dopo che si accorsero che stavo per laurearmi mi fecero entrare in ufficio. Poi in quella azienda feci una carriera fulminante: dopo circa due anni, diventai responsabile dei servizi per l'Italia. Il cambiamento fu determinato, nonostante mi trovassi molto bene all'interno dell'azienda, dalla vendita ad una multinazionale: in quel momento me ne sono andato via.

Lei è scettico nei confronti delle multinazionali perché tendono a spersonalizzare i propri dipendenti. E' vero. D'altronde non potrebbero fare altrimenti, hanno necessità di una prassi, di una procedura e di vincoli molto precisi. Non c'è rapporto tra dipendente e imprenditore come invece c'è qui da noi. Nelle multinazionali non esiste l'imprenditore e devono avvalersi di prassi specifiche. Tra cui anche insegnare una serie di procedure a persone che come modestamente il sottoscritto, hanno esperienza nel settore: è fastidioso che ti vengano ad insegnare delle cose “sciocche” come parlare con un cliente o simili. Io soffrivo un po' questo sistema tant'è che non appena appresi che l'azienda in cui lavoravo sarebbe stata venduta ad una multinazionale, in un minuto decisi di andare via perchè già sapevo che non ci sarei stato bene.

Come fare a non cadere all'interno di questo meccanismo, qual è il segreto per far sì che non ci sia questa spersonalizzazione, soprattutto considerando che una società in crescita e quotata tende ad espandersi?

Bisogna rimanere anche se grandi ancorati in un rapporto consolidato con le persone. Io cerco ancora di conoscere e comunicare con tutti, cosa certamente non sempre fattibile ma per esempio fino a pochi mesi fa conservavo conservo l'abitudine di occuparmi delle assunzioni a tutti i livelli. Il patrimonio dell'azienda sono le persone e le persone vanno curate anche come rapporti, cosa che ora stanno portando avanti quelli che ormai mi attorniano e che sono chiamati a fare quello che facevo io da solo. Ho cercato di instaurare e trasmettere delle prassi che mantenessero non dico un clima artigianale e familiare ma certamente un contatto diretto tra il vertice aziendale e i dipendenti e gli operai a tutti i livelli. Questo ha giovato perchè tutti quelli che vengono da noi difficilmente se ne vanno.

Secondo lei quale potrebbe essere il metodo per trasmettere alle nuove generazioni il messaggio che ha dato dei risultati consolidati all'interno della sua azienda?

E' molto diffusa questa prassi in Italia, non sono l'unico a farlo. Nelle PMI vige un rapporto più diretto con il personale. La sua crescita professionale è stata determinata dalla fortuna di aver trovato una azienda che le abbia dato fiducia oltre ad una sua fortissima motivazione. Sono stato decisamente fortunato. L'azienda presso cui ho iniziato a lavorare aveva delle caratteristiche particolari: individuare nelle persone delle abilità e concedere loro spazio e opportunità. Questo ci ha inorgoglito e ci ha fatto crescere. Essendo dipendente lì ho imparato a fare l'imprenditore.

Rimanendo coerenti con il vostro business, i giovani sognano di “elevarsi” e raggiungere traguardi ambiziosi nel mondo del lavoro. Lei che percorso consiglierebbe e quali consigli potrebbe dare?

Bisogna analizzare le aspirazioni ed ambizioni oltre a misurare il proprio carattere. Questo è ciò che ho fatto io e posso dire ho fatto bene a farlo. Pur considerando che ho dovuto attraversare anche dei momenti bui: i primi 2-3 anni dopo essermi messo in proprio sono rimasto senza stipendio, oltre a non aver trascorso una domenica a casa o in ferie. Occorre misurare le forze fisiche e mentali: se uno ritiene di avere queste caratteristiche può buttarsi. Non è una cosa da consigliare a tutti c'è anche chi si scoraggia e rimane in mezzo al guado, guardando gli sforzi sostenuti e il lavoro fatto alle spalle da una parte e dall'altra vedendo un traguardo vincente ma senza più le energie per remare e raggiungerlo. Ci sono difficoltà oggettive innegabili.

Cosa pensa del passaggio generazionale? consiglierebbe alla seconda generazione di formarsi esternamente all’azienda?

Io ritengo di aver avuto la capacità di insegnare alle mie persone senza necessità di mandarle fuori ad imparare, in America o chissà dove. Hanno avuto delle possibilità di apprendere forse più qui che altrove. Non mi sento di parlare in senso assoluto, valutando tutte le situazioni. Certo la formazione esterna potrebbe essere una strada da percorrere per aziende più grandi. Chi invece ha fatto il percorso da artigiano a piccolo imprenditore fino a costruire una PMI ha in sé le caratteristiche per poter insegnare a quelle che sono le generazioni future. Bisogna anche avere un po' di fortuna e la capacità di poter immaginare che la tua azienda possa andare avanti anche un domani senza il tuo apporto. In Monti sono riuscito a creare una squadra di giovani, 2 amministratori delegati di 36 e 38 anni e anche dei quadri intermedi generalmente molto giovani che immagino possano andare avanti anche senza il sottoscritto. Tant'è che da poco sono diventato Consigliere di Sorveglianza togliendomi dal ruolo di Ad e lasciando in concreto spazio al nuovo amministratore delegato Daniele Leti.

E' stato difficile per lei questo passaggio?

Assolutamente no. Credo che in concreto queste cose si debbano affrontare senza tante chiacchiere e facendo dei fatti. Poi è chiaro che le persone che lanci devi lanciarle in questo modo dando un taglio un po' netto, formalizzando, non lasciando le cose incompiute o poco chiare. E' anche vero che al di là di quelli che sono i ruoli e le funzioni devi essere disponibile sempre a cercare di aiutare queste persone perchè naturalmente non possono avere la tua esperienza. Io lascio fare a loro quello che prima era una mia responsabilità diretta perchè ora non lo è più, però Colombarini è sempre qui per dare consigli e aiutare ad acquisire esperienza. Ora avendo questa mansione riesco ad avere il tempo di trasmettere tutti i miei consigli e la mia esperienza, credo sia un bel vantaggio.

Quale sarebbe l'aspetto che lei vorrebbe fosse trasferito ai suoi collaboratori, cosa la renderebbe più orgoglioso?

Andare in ferie per un anno e sapere che la mia azienda va avanti anche senza di me. Il fatto di poter non essere presente per un lungo periodo perchè queste persone possono fare quello che ritenevi di poter fare solo tu e poi invece hai scoperto che altri lo sanno fare magari meglio. I giovani hanno delle caratteristiche più fresche e diverse, vedi il mondo dei software e delle tecnologie, dove magari anch'io faccio più fatica.

Per lo sviluppo delle tecnologie d’avanguardia vi avvalete del supporto dei centri di ricerca universitari? A quali altre strategie ricorrete per “far salire il vostro ascensore un piano più in alto” della concorrenza?

Come formazione culturale non mi è estraneo il mondo della struttura tecnologica e del software. L'azienda è sempre stata all'avanguardia per quel che concerne le tecnologie sia a livello gestionale che amministrativo. Attualmente abbiamo in corso un progetto finanziato dal Ministero per un aggiornamento, estensione e sviluppo del nostro software nel mondo della telesorveglianza negli ascensori: poter avere delle notizie in automatico senza che il cliente ti chiami per comunicarle, sapere se l'ascensore è fermo e quale è la causa. Un servizio a notevole valore aggiunto perchè si può sapere la causa del guasto e saperla in tempo reale. Ci stiamo avvalendo anche dell'ausilio dell'Università di Bologna e siamo abbastanza avanti nella realizzazione, partita ad ottobre.

Finanzastraordinaria.it dedica una sezione intera alle iniziative di mecenatismo promosse da operatori di corporate finance. Quale progetto le piacerebbe fosse sostenuto?

Personalmente sono da anni legato ad un amico Trieste Giuseppe, Presidente dell' Associazione FIABA Fondo Italiano Abbattimento Barriere Architettoniche (FIABA). Noi come Monti, per quanto possibile, abbiamo sempre sostenuto i suoi progetti, siamo in contatto. E' una persona vulcanica che si rivolge al mondo dell'handicap cercando di sostenerlo attraverso convegni, Fiab day e numerose iniziative.

L’Italia si presenta alla sfida Expò 2015. Se lei potesse dotare di ascensori virtuali le potenzialità del made in Italy, su cosa farebbe leva?

L'Italia intanto è il primo mercato al mondo per numero di impianti funzionanti, la Cina ci sta superando e probabilmente questo avverrà definitivamente tra un annetto. Monti, pur seguendo il suo core business relativo alla manutenzione, ha anche acquisito partecipazioni in società produttrici di impianti nuovi e suoi componenti e siamo, quindi, in grado di fornire e installare nuovi ascensori ad hoc, realizzati su misura delle esigenze del cliente. Expo sarà una opportunità anche per Monti per le opere strutturali ed impiantistica in cui certamente possiamo essere competitivi. 13- Quali suggerimenti darebbe a FinanzaStraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle sue esigenze di professionista? Mi sembra che siate bravi, quindi procedere così.

L’ultima domanda vuole avere una veste spiritosa: uno scoop da comunicare in anteprima ed esclusiva a FinanzaStraordinaria.

Uno scoop che riguarda la mia azienda. Fra una settimana faremo 3 acquisizioni concomitanti, cosa che a noi non è mai capitata. Di solito compravamo le aziende una alla volta invece andremo dal notaio per fare 3 acquisizioni tutte insieme. E tali acquisizioni verranno realizzate con lo strumento del patrimonio destinato: una cosa nuova per l'Italia.

Invece di fare delle società partecipate si realizzeranno dei patrimoni destinati seguendo quanto previsto dalla normativa vigente: mantengo la collaborazione degli imprenditori che localmente continuano di fianco a me a fare gli imprenditori. Aziende italiane?

Si Uno scoop del genere è imperdibile, ci dà autorizzazione a fare un lancio stampa? Certamente. Al di là del tema dell'intervista che penso abbia lasciato il segno se vi ha colpito quanto ha colpito me, in ogni caso l'incentivo ai giovani di cui parlava prima il Dott. Colombarini, in questo caso si è già trasformato in qualcosa di concreto.

Domenica, 19 Settembre 2010 14:21

Intervista Lorenzo Castellini

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Lorenzo_CastelliniLorenzo Castellini dopo una laurea in chimica conseguita all'Università di Pavia ed un M.B.A. Presso la Columbia University di New York, ha iniziato la sua carriera all'interno del settore farmaceutico in Eli Llly Corp. Ha successivamente rivestito la carica di Direttore Generale e Amministratore Delegato in alcune aziende attive nel settore chimico e farmaceutico: Galenitalia e Euticals (prima e seconda metà anni '80), Angelini (primi anni '90). Attualmente è Presidente di Bouty S.p.a. società farmaceutica che si occupa in particolare dei settori consumer, diagnostica e drug delivery.

Quali sono stati i passi che hanno traghettato Bouty nel mercato Expandi?

Per comprendere quali passi sono stati fatti da Bouty bisogna ripercorrere la storia dell’azienda: la società era nata come filiale italiana di una multinazionale americana. A seguito del buy out deciso dal management nel 2003 abbiamo iniziato a ragionare come entità indipendente e, naturalmente, ci siamo ritrovati a valutare quali passi realizzare per continuare l’espansione della nostra società. Quattro anni dopo, abbiamo identificato un’importante oppurtinità nella quotazione, che abbiamo creduto potesse essere un punto di partenza per continuare l’evoluzione dell’azienda.

Quali sono stati i cambiamenti più radicali che Expandi ha portato nella struttura e nella gestione di Bouty?

La struttura non ha subito grossi cambiamenti. Lo stesso non si può dire per la gestione che invece ha registrato alcune modifiche, perché Expandi è un mercato che – anche se in apparenza può apparire di dimensioni ridotte – presenta regolamentazioni di accesso quasi uguali a quelle del segmento Star. A livello gestionale l'ingresso in Expandi comporta degli impegni costanti e continui a cui, in precedenza, si era forse poco abituati e preparati, non ultimo l'obbligo di pubblicazione trimestrale di ulteriori notizie societarie. Il cambiamento gestionale è a mio parere positivo, l'unico fattore negativo è la presenza di costi necessari per sostenere tali obblighi. La quotazione ha portato anche altri elementi positivi: si è instaurata l’abitudine a prendere le decisioni in una maniera più organizzata, ad essere ancor più trasparenti, già a partire dai Consigli di Amministrazione. Questi aspetti agevolano la crescita dell'azienda poiché comportano l'obbligatorietà a rispettare scadenze e comunicazioni fondamentali che, prima della quotazione, potevano essere svolte o meno, a discrezione della società.

Quali i reali motivi che vi avevano portato alla quotazione?

Il motivo principe è stata la volontà di far crescere la Società. Come dicevamo all’inizio, prima di quotarci in Borsa abbiamo realizzato un management buy out che ha fatto entrare dei fondi di Private Equity. A un certo punto della vita dell’azienda abbiamo, però, pensato che fosse importante permettere a questi fondi di Private Equity di uscire senza provocare ripercussioni nella vita dell’azienda e rientrare nel mercato. Benché nel nostro caso i Fondi di Private Equity non avessero mai manifestato palesemente la volontà di vendere le loro quote, avevamo consapevolezza del fatto che la loro presenza in una società solo per un certo periodo, e ciò è insito nel loro modus operandi . Bouty, poi, una volta quotata, è stata in grado di andare avanti da sola per la propria strada.

È sempre una passo necessario e auspicabile fare prima un “passaggio” con i fondi di private equity?

Per le nostre dimensioni direi di sì, anche se non si può affermare che lo sia in senso assoluto. Un’azienda di medie o grosse dimensioni tutto sommato può quotarsi anche senza passare dal Private Equity, perché è già abituata a certi tipi di relazioni sia a livello bancario che nella comunità finanziaria. Per un’azienda di dimensioni pari alla nostra, il Private Equity assicura invece tutte quelle agevolazioni e relazioni, con studi legali, Borsa e Consob, che prima non possedeva.

Riesce a raccontare agli imprenditori che, come lei, sono sempre più dubbiosi tra le aggressive offerte dei fondi di private equity e la marose turbolenze della borsa i pro e i contro delle due soluzioni?

Le soluzioni possono coincidere: si possono scegliere sia gli “aggressivi” che le “turbolenze”. Per quanto ci riguarda noi abbiamo optato sia per il private equity che per la Borsa. Non è una scelta fra l’uno o l’altro: per quanto riguarda la quotazione, l’imprenditore non deve essere interessato al valore del titolo giorno per giorno, quanto piuttosto a vedere la Borsa come fonte di finanziamento, concentrandosi sulla crescita dell’azienda. L'aspetto valoriale del titolo interessa molto di più gli investitori rispetto alla Società e all'imprenditore. Per quanto riguarda la nostra esperienza, posso dire che i fondi di Private Equity non sono stati poi così ingombranti ed aggressivi, anche se eravamo consapevoli fin dall'inizio che il loro scopo era chiaramente di avere un ritorno maggiore sul loro investimento.

L’esperienza della quotazione come da lei sottolineato ha portato all’azienda nuove risorse finanziarie. Quali obiettivi di crescita sono stati realizzati?

Siamo entrati in Borsa da poco [ottobre 2007 n.d.r.], ma stiamo crescendo esattamente come ci eravamo imposti per quest’anno. In questo momento stiamo puntando a crescere per linee interne, dal momento che la crescita per quelle esterne è ora abbastanza difficile da perseguire e non di nostro interesse, viste le alte pretese che gli imprenditori di questo settore avanzano per la vendita dei propri asset. Se le cose dovessero cambiare, la crescita per linee esterne sarebbe molto auspicabile. In generale abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati nel primo trimestre in termini numerici e, per ora, non vediamo difficoltà nel raggiungere quelli di fine anno. Anche nel settore dello sviluppo dei prodotti, stiamo proseguendo esattamente come previsto.

La quotazione è avvenuta ad ottobre 2007. Oggi a distanza di alcuni mesi quali nuovi progetti ed obiettivi state pianificando?

Stiamo sviluppando prodotti frutto della nostra ricerca, che lanceremo molto presto, soprattutto nel settore dei prodotti transdermici, nella diagnostica e nel segmento consumer.

Abbiamo spesso affrontato durante le interviste il tema della cosiddetta “fuga dei cervelli” dall’Italia. Uno dei campi più importanti in cui la ricerca dovrebbe essere incentivata è proprio quello diagnostico e medico. Secondo lei quali incentivi si potrebbero realizzare da parte dello stato e delle istituzioni finanziarie per consolidare la ricerca in Italia?

Credo poco negli incentivi in generale perché quello che conta è il mercato di sbocco dei prodotti della ricerca: se il mercato di sbocco è “coccolato” e tenuto in considerazione dal Governo italiano, allora le aziende possono investire e vendere. Invece quello che sta accadendo nel settore della Salute, considerando la situazione difficile della finanza pubblica, è un atteggiamento di risparmio. Questo certamente non favorisce la spinta alle aziende ad investire nella ricerca e in nuovi prodotti, con la conseguente demotivazione dei nostri ricercatori a lavorare in Italia.. Anche i tempi di pagamento dei prodotti di ricerca, la cui remunerazione non avviene mai infatti prima dei 270/300 giorni e, mediamente, l’incasso a un anno è lo standard., non sollecita le aziende ad investire nel settore.

Quali sono i vostri interlocutori principali in tema di ricerca?

Lo sviluppo di nuovi prodotti, in particolare nel settore della biologia molecolare per esempio, avviene con la collaborazione di università? Noi abbiamo una divisione interna di ricerca: nella diagnostica stiamo sviluppando una serie di kit e disponiamo di oltre una quindicina di ricercatori che si dedicano a questo. Sempre sul fronte della diagnostica gli altri interlocutori privilegiati per noi sono altre aziende, con le quali creiamo delle joint ventures per altri kit che poi vendiamo in Italia. Il nostro fiore all’occhiello è la ricerca nel drug delivery system, soprattutto nei prodotti transdermici e in quello che noi chiamiamo oral fast delivery. L’oral fast delivery rappresenta una sorta di evoluzione del concetto di introduzione del farmaco nel corpo umano per via transdermica: questa tecnologia, attraverso degli strip da mettere in bocca, permette immediatamente al principio di entrare in circolo. Siamo tra i pochi al mondo a sviluppare dei prodotti di questo tipo. Lavoriamo in collaborazione con aziende farmaceutiche: offriamo loro il servizio di sviluppo dei prodotti specifici di cui fanno richiesta oppure, in altre occasioni, sviluppiamo prima il prodotto e poi contattiamo le aziende farmaceutiche per immetterlo sul mercato. E’ un tipico B2B. In questo settore chiaramente lavoriamo anche con i dipartimenti di farmacologia delle università e di tecnica farmaceutica: abbiamo all’attivo delle collaborazioni con l’Università di Milano, di Parma e altri istituti ancora. Per quanto riguarda la diagnostica sono state implementati degli accordi con l’Università di Tor Vergata per lo sviluppo dei kit di genetica molecolare e con il San Raffaele a Milano.

Quali saranno i prodotti nelle singole divisioni di Bouty su cui scommettere nel futuro?

Personalmente scommetterei nel drug delivery system, nel cui sviluppo siamo leader, e stiamo sviluppando tutta una serie di prodotti che faranno fare un bel passo alla società. Purtroppo per i prodotti farmaceutici i tempi sono lunghi: dobbiamo fare pur sempre tutta una serie di prove cliniche, di stabilità e attività del farmaco che richiedono una lunga attesa. Nella diagnostica tra l’altro, abbiamo un progetto all’interno del quale stiamo sviluppando un sistema in collaborazione con un’azienda inglese che ci consentirà di fare un nuovo passo avanti nella meccanizzazione di determinati test: nel giro di un paio d’anni sarà pronta un’apparecchiatura in cui immettere anche fino a 50 test da elaborare. Nelle altre divisioni abbiamo nuovi prodotti consumer che sono, però, definibili più come rinnovamenti, ampliamenti di linea, mentre nel campo della cosmetica e dei devices stiamo sviluppando nuovi articoli. Rispetto ad altre aziende che operano su questo mercato, Bouty, che è stata fondata nel 1890, ha fatto registrare sviluppi abbastanza equilibrati con dei risultati economici positivi: la valutazione delle sue performance non è basata quindi solo sulle prospettive future come un’azienda in fase di start up. Inoltre abbiamo un pacchetto di espansione di prodotti che daranno un ottimo riscontro.

Quale medicina del futuro vorrebbe scoprire e perché?

Soprattutto nella parte consumer noi lavoriamo allo sviluppo di prodotti per le persone sane: quindi la nostra azienda non è tarata per lavorare alla ricerca del farmaco del futuro. Bouty rappresenta più una Società del benessere che non un’azienda farmaceutica.

Quali suggerimenti darebbe a FinanzaStraordinaria per rispondere in modo sempre più concreto alla sue esigenze di professionista, quali servizi non sono ancora stati sufficientemente sviluppati ma necessari?

Dal punto di vista di un imprenditore, e non di un professionista del settore M&A, è molto importante che vi sia una conoscenza delle aziende precisa e realistica. Come sito FinanzaStraordinaria dovrebbe essere attento alle novità delle aziende stesse, come gli sviluppi di prodotti nuovi, riportando degli annunci in modo da allargare le conoscenza sulle società che possano essere di interesse per altri operatori: una sezione news per target ben identificati.

L’ultima domanda vuole avere una veste spiritosa. Ci dia lo scoop da comunicare in anteprima ed esclusiva a FinanzaStraordinaria.

Abbiamo concluso lo sviluppo di un prodotto transdermico a base di piroxicam e nei prossimi mesi sarà depositata la domanda al Ministero della Sanità unitamente a quella per un prodotto a base di Ketoprofene di cui abbiamo da poco terminato le prove cliniche. Si tratta di sviluppi molto importanti per noi perché, anche se non porteranno vendite quest’anno, a causa delle tempistiche di accoglimento della domanda da parte del Ministero della Salute ed altri fattori, ci garantiranno EBITDA l’anno prossimo, quando entreranno in commercio.

Domenica, 19 Settembre 2010 16:10

Intervista Giovanni Stella

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Giovanni_Stella_FILEminimizerCome è stato vissuto il processo di quotazione di Antichi Pellettieri?

Il processo di quotazione è molto complesso ed il mercato Expandi richiede una serie di attività propedeutiche molto impegnative, un dispendio molto forte di energie. Tuttavia questi elementi permettono anche alla società di rendersi conto delle proprie necessità, come per esempio quella di un controllo di gestione scrupoloso che diviene poi ancora più imprescindibile una volta quotata.

Quali ostacoli?

Sicuramente diversi ostacoli da superare: le nuove regolamentazioni e la necessità di dover adeguare le esigenze dell'azienda a quelle del mercato sapendo che sarà quest'ultimo il nuovo punto di riferimento dall'avvio del processo di quotazione. La quotazione di Antichi Pellettieri non ha incontrato particolari difficoltà. La prima regola da imporsi è quella di rispettare i parametri di ingresso, gli adempimenti e fare scelte oculate.

Avevate già sperimentato l'ingresso di un fondo prima della quotazione. Ma poi avete scelto la borsa , come mai?

Vengo più dal prodotto che dalla finanza anche se ho imparato tante cose dal Gruppo Burani. Abbiamo condiviso un'esperienza con il fondo L Capital per un paio d'anni e attualmente con un altro fondo. Tuttavia la quotazione ha delle prerogative completamente diverse rispetto al fondo: hai la possibilità di raccogliere mezzi per lo sviluppo della società con entrambi ma la differenza reale è nella stabilità, il mercato è un socio stabile, il fondo di solito è un socio “a termine”. Pertanto ritengo che la scelta della quotazione sia una scelta di maggior stabilità.

Antichi Pellettieri ha avuto ottime performance dal momento della quotazione, quali sono stati secondo lei i motivi per cui il mercato ha premiato così tanto?

Noi abbiamo avuto delle ottime performance e pensare ai risultati ottenuti in riferimento ai mercati attuali è abbastanza deludente, soprattutto perchè i fondamentali della società sono incrementati con il passare del tempo successivo alla quotazione. Riteniamo che l'ultima semestrale societaria, rapportandoci al momento in cui viviamo, sia stata eccezionale. In questo momento il mercato non ci premia. Le nostre società sono cresciute rapidamente e costantemente grazie a dinamicità e “snellezza” poiché non abbiamo costi di struttura pazzeschi. Inoltre ha premiato la capacità di promuovere diversi brand diversificando pertanto il rischio di chi investe su di noi.

Lei in azienda ha un ruolo importante, ma se dovesse realizzare ancora un sogno nel cassetto: quale obiettivo professionale vorrebbe ancora raggiungere?

Ho un ruolo importante ma direi che il ruolo più importante in questo progetto l'ha avuto Giovanni Burani che l'ha pensato. Insieme lo abbiamo sviluppato, grazie a partner eccezionali. I meriti sono da dividere tra tutti. Il mio sogno nel cassetto attualmente è quello di mantenere costante questo sviluppo e di potervi integrare l'ultima acquisita, Mandarina Duck. Un'azienda che abbiamo voluto fortemente e che a mio parere ha delle potenzialità inespresse. Non perchè l'imprenditore precedente non avesse i requisiti per farlo, è un uomo che ha dedicato 40 anni all'azienda e che con molto coraggio e visione quando non si è sentito di fare un ulteriore passo di sviluppo ha deciso di lasciare un pezzo importante della sua vita perchè potesse svilupparsi ulteriormente. Noi non pensiamo di essere migliori di lui bensì di avere dinamicità e possibilità di brand extension tali da far riavere a Mandarina il successo degli anni '70. E' una sfida che accettiamo volentieri.

Quale è stato il suo percorso di avvicinamento al mondo della moda?

Casuale. Ho conseguito una laurea in economia e commercio e successivamente, all'inizio della mia carriera, un'esperienza in una grossa società finanziaria perchè non mi piaceva intraprendere la strada del professionista. Tutto è cominciato dall'incontro con una persona conosciuta nel posto sbagliato al momento giusto: mi ha chiesto di rilevare insieme un'azienda di calzature della mia città, ero molto giovane non avevo molta responsabilità per cui mi ci sono buttato e mi sono molto appassionato.

Se lei dovesse dare un consiglio ad un giovane che volesse fare un salto imprenditoriale nel mondo della moda, che cosa direbbe?

I giovani devono avere il coraggio di fare, vedo in molti la difficoltà nell'affrontare la sfida. Penso debbano credere di più nel sistema Italia perchè tutto sommato a fare questo lavoro siamo ancora i migliori.

Gimmi Baldinini ha affermato che quando iniziò l’espansione in Russia all’epoca Gorbaciov il cliente lo era “andato a cercare nelle città, strada per strada”. Qual è la realtà attuale nei mercati stranieri per il Made in Italy? Quali sono i mercati più soddisfacenti oggi?

La nostra presenza sui mercati emergenti è antecedente rispetto a quella di molte altre società. La nostra politica è di cross selling: dove si è aperta una strada le altre società del gruppo possono utilizzare percorsi e conoscenza delle aree già esplorate. Questo certamente è un vantaggio prezioso anche nei confronti dei competitor. Il mercato russo è il nostro primo mercato estero. Siamo molto presenti e stiamo ottenendo ottimi risultati anche nell'ex est europeo, forti riscontri in medio oriente e in oriente. Non siamo presenti negli Stati Uniti mentre siamo ben posizionati nei mercati europei. I mercati emergenti ci garantiscono tassi di crescita che qui non sono attualmente possibili. Tuttavia cerchiamo di mantenere un equilibrio tra lo sviluppo su aree più consolidate che consentono di essere forti sul mercato emergente e una diversificazione su altri paesi che crediamo emergeranno domani.

Le vostre collezioni di accessori e calzature hanno nel DNA il bello del made in Italy. Quali sono secondo lei le componenti irrinunciabili che fanno di un prodotto un vero made in Italy? Come si può proteggere e incentivare il made in Italy soprattutto in vista di Expò 2015?

Secondo me il maggior investimento che deve fare una società è in creatività. Non dobbiamo avere paura delle produzioni estere perchè il gap rispetto alla nostra creatività, esperienza e conoscenza del prodotto è elevato. Noi costruiamo idee e a mio modo di vedere questa è la nostra forza, continuare ad affascinare il mercato. Chiaramente la componente della qualità è fondamentale e soprattutto nel mondo della pelletteria è diversa da prodotto a prodotto. Alcuni programmi ed articoli in cui mi sono imbattuto sono abbastanza qualunquisti sulla scarsa qualità del made in italy, sulla delocalizzazione “facile”. Non è così. Il sistema della moda italiano non può essere semplicemente esposto affermando che ci sono aziende in Italia che utilizzano manodopera a basso costo e non altamente specializzata. Noi in Italia abbiamo aziende che lavorano seriamente, che hanno tecnici e mandopera validissima. Il problema è che in un paese così avanzato come il nostro è difficile trovare giovani che vogliano intraprendere un'attività artigianale. Il sistema Italia è comunque in grado di controllare la qualità anche nei paesi delocalizzati, laddove la delocalizzazione sia possibile. Infatti a mio modo di vedere, è una scelta diversa sulla base della tipologia del prodotto. Per esempio il modello delle borse è delocalizzabile perchè modello unico senza taglia. Per quanto riguarda le calzature invece si tratta di prodotti, di taglie diverse, sviluppi di altezze di calzate specifiche, per cui se si vuol fare un prodotto di alta qualità quello non è delocalizzabile, rimane made in Italy ed è una fascia su cui noi stiamo puntando.

Avete acquisito numerosi marchi e licenze. Su quale basi avviene la scelta? Come individuare un outsider di successo?

Per quanto riguarda le licenze, sono abbastanza delicate perchè si gestisce un marchio appartenente ad un terzo e col quale ci si deve confrontare. Il successo o meno di una licenza parte innanzitutto dalla relazione che si riesce ad instaurare con la proprietà del brand e poi dipende dal fatto che le società che gestiscono queste licenze abbiano le prerogative giuste per poterle gestire. Noi cerchiamo di fare in modo che le licenze non superino mai una certa percentuale del nostro giro d'affari perchè potrebbe essere destabilizzante nel momento della scadenza. Per i marchi abbiamo individuato delle aziende che avessero delle grandi disponibilità sia di brand che di risorse umane e in cui i partner fossero degli imprenditori volonterosi non solo di monetizzare una parte della loro vita, ma anche di partecipare ad un progetto di crescita con l'appoggio di un gruppo che mettesse a loro disposizione energia e competenza.

L’ultima domanda vuole avere una veste spiritosa. Ci dia lo scoop da comunicare in anteprima ed esclusiva a finanza straordinaria.

Voi sapete che noi siamo molto attenti, diciamo che in un momento come questo, dove è così importante consolidare tutto quello che abbiamo, è ovvio che non ci siamo allontanati dal mercato e nel momento in cui ci fosse un'occasione importante non ci tireremmo indietro. Editor finanzastraordinaria © www.finanzastraordinaria.it 2009

Domenica, 19 Settembre 2010 16:12

Intervista Andrea Manganelli

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aNDREA_mANGANELLI_FILEminimizerNato a Firenze nel 1941, ha maturato una lunga esperienza manageriale anche a livello internazionale. Attualmente ricopre la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione di Ekamant Italia S.p.A., di TF SeC e di Medicea S.r.l. Sin dal 1983 inoltre è membro del Consiglio d'Amministrazione della Ekamant AB, società di diritto svedese attiva nella produzione e commercializzazione di materiali abrasivi. È membro del Consiglio di Amministrazione di Toscana Finanza sin dalla sua fondazione, ed è Presidente dal 1997.

Come è cambiato il mercato in cui operate dalla nascita della società ad oggi? Sono cambiati gli interlocutori?

Direi che attualmente i crediti più difficilmente esigibili rientrano nella sfera dei mutui perchè ci riferiamo ad importi elevati, il cui impatto è più consistente e quindi comporta una maggiore difficoltà dell'esigibilità. Toscana Finanza non si occupa di questo tipo di crediti per tutta una serie di ragioni tra cui anche la specializzazione, è indispensabile offrire la migliore competenza nei campi in cui si opera e noi non abbiamo puntato su questo specifico settore.

Toscana Finanza si occupa di acquisizione e gestione dei crediti di difficile esigibilità. Quali sono i crediti più difficilmente esigibili nel mercato attuale?

E' una domanda molto difficile perchè i nostri interlocutori sono totalmente diversi come natura. Per esempio noi acquistiamo crediti dalle procedure concorsuali e posso dire che relativamente a questo settore il mercato è cambiato moltissimo. Quando abbiamo cominciato non c'era la consapevolezza di effettuare una scissione onerosa per questo tipo di crediti, oggi grazie al nostro lavoro decennale tutti i tribunali fallimentari sono a conoscenza di questa opportunità. Si è acquisita in materia una maggiore consapevolezza, direi grazie anche a Toscana Finanza.

Su quali “crediti” avete fondato il vostro ingresso in Expandi nei confronti dei vostri azionisti?

Noi abbiamo due principali aree di intervento del credito. I crediti cosiddetti fiscali ossia nei confronti dell'agenzia delle entrate e i crediti finanziari (società di credito al consumo, banche, leasing, società finanziarie). Abbiamo fondato sul lavoro condotto su queste due principali tipologie di crediti la fiducia dei nostri azionisti.

Quali obiettivi avete potuto realizzare grazie all'ingresso in Borsa? E quali saranno quelli futuri?

Gli obiettivi immediati che abbiamo realizzato appena terminato il processo di quotazione sono stati senza dubbio una maggiore visibilità della società, della sua struttura ed attività nei confronti del mercato oltre al reperimento di nuovi mezzi finanziari. Nella situazione attuale di mercato, l’incremento di nuovi capitali è molto difficoltoso ma permane invece l’aspetto di maggiore visibilità di Toscana Finanza. Certamente abbiamo le spalle più larghe, siamo meno sensibili agli andamenti del mercato. Inoltre abbiamo la possibilità di acquistare nuovi portafogli e realizzare operazioni di finanza straordinaria acquisendo anche dei competitor diretti.

Quali supporti sono indispensabili dal punto di vista etico, informatico, personale e professionale per riuscire a recuperare un credito?

L'etica è una delle basi sulle quali fondiamo la nostra attività insieme alla trasparenza. Il lavoro che facciamo è molto delicato sia a monte che a valle cioè sia nei confronti dei cedenti che devono avere la sicurezza di affidare il credito ad un interlocutore fidato, sia del ceduto in quanto è un soggetto debole per definizione. La necessità di lavorare seguendo un'etica molto forte è fondamentale per questo tipo di attività. Un personale qualificato e la disponibilità di supporti informatici specifici e specializzati consentono di gestire le grandi masse che seguiamo. La situazione economica attuale può incrementare il vostro business poichè il potere di acquisto è certamente sceso e ci sono sempre maggiori ricorsi a modelli di consumo basati sul credito.

Quali sono le situazioni più ricorrenti a cui fate fronte nel recupero di crediti: fallimenti di aziende, cartolarizzazioni credito al consumo o altro?

Noi abbiamo una specializzazione nei crediti di affari nei confronti dei privati per cui nella stragrande maggioranza siamo orientati verso questa categoria. Questo non preclude dei non performing nei confronti di aziende.

Come agite nell'ambito di fallimenti gestiti da Enti Pubblici e Tribunali? Avete mai pensato di costituire in Italia un "vulture" fund (ndr. fondo avvoltoio)?

Non abbiamo pensato al fondo avvoltoio perchè sono due lavori completamente diversi anche se teoricamente vicini. Nei confronti dei fallimenti agiamo in maniera professionale per cui con estrema trasparenza, professionalità ed etica. Una delle guide che spesso i giovani non individuano nel loro percorso è il mentore. Se lei idealmente potesse donare un “credito formativo” alle giovani leve, cosa consiglierebbe per investire nel futuro professionale? Sicuramente passare da una fase di esperienza sul campo specialmente con la formula dello stage. E’ una formazione che dà un vantaggio competitivo nel momento in cui si debba affrontare un'attività sul campo.

Quali sono secondo lei i passi falsi che portano le piccole e medie imprese a fallire? La fase di empasse si potrebbe superare senza ricorrere necessariamente a forme di indebitamento troppo onerose per essere sostenibili?

Spesso secondo me è una carenza di capitale che porta a queste problematiche. Questo comporta un sempre più massiccio ricorso al debito. Un’altra ragione può ravvisarsi nei mancati investimenti qualificati. La carenza di ricerca e sviluppo comporta dei problemi nell’azienda, a prescindere che siano dovute a mancanza di capitale o mancanza di volontà di investimento del capitale in questa direzione. Se poi i pochi investimenti deliberati sono spesi male non si ottiene alcun frutto positivo per l’azienda. Ci dovrebbe essere molto più ricerca da capitalizzare anche grazie a fondi di investimento. E' la carenza di capitalizzazione che è mortale.

Come risollevarsi da un debito ingente contratto?

Aprendo l'azionariato della società a nuovi soci con disponibilità finanziaria come per esempio fondi di Private Equity.

Secondo lei la cultura italiana è troppo tranchant sul fallimento delle imprese al punto da “bollare” gli imprenditori che senza dolo sono incappati in un fallimento? Come si potrebbero “riabilitare” queste situazioni?

Questa è una domanda molto delicata che apre ad un discorso molto ampio. Il concetto di fallimento è insito nell'apertura di una attività: si è esposti al rischio di non avere successo.

Quali saranno secondo lei gli strumenti che nel futuro rappresenteranno i nuovi mezzi di credito? Si correrà nuovamente il rischio di inciampare in una crisi come quella dei sub prime e gli strumenti derivati dal debito?

Dipende nei confronti di chi questi strumenti di credito saranno emessi. Riferendoci alle piccole e medie aziende penso che sia molto positiva l'apertura all'ingresso di fondi di Private Equity che sono in grado di iniettare capitali e hanno un’ottima capacità gestionale.

E per imprese più grandi?

Il ricorso alla borsa.

Quali suggerimenti darebbe a finanzastraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle sue esigenze di professionista?

Dare una visione più larga possibile delle problematiche del settore in modo che i professionisti possano avere una veduta più ampia e capire meglio realtà che nel loro specifico sono più difficoltose da conoscere.

Editor finanzastraordinaria © www.finanzastraordinaria.it 15/12/200

Mercoledì, 01 Settembre 2010 02:00

Intervista Andrea Siniscalco

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Andrea_Siniscalco_FILEminimizerIngeniere, è stato per molto tempo Amministratore Delegato di Greenvision Ambiente che ha tra l'altro quotato nel mercato Expandi nel 2004. La sua passione per l'ambiente e le sue problematiche ha sempre contraddistinto la sua attività professionale. Inoltre è Presidente di Artereale, progetto di mecenatismo nel cuore del quadrilatero della moda, volto alla promozione dell'arte e alla coniugazione tra musica e pittura.

Nell’intervista pubblicata nella nostra sezione “speciali” Enrico Minoli dice: “Cito una frase di cui condivido il senso profondo: noi non stiamo vivendo nel mondo che ci hanno lasciato i nostri genitori ma stiamo vivendo nel mondo che i nostri figli ci hanno prestato.” Quale ruolo potrebbero giocare gli investitori per poter preservare il futuro dell’ambiente?

Faccio una premessa: quando ho letto l’articolo ho sorriso e sono rimasto sorpreso perché le parole usate da Minoli sono lo slogan del lancio di una operazione che feci alla fine degli anni ’90 e che portarono poi a quotare Greenvision. Lo slogan diceva: “Lasciamo ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo ereditato dai nostri genitori” ed il senso era esattamente la consapevolezza che in quegli anni stava scattando un meccanismo assolutamente nuovo e mai preso in considerazione prima, ossia il concetto della sostenibilità dello sviluppo inteso come opportunità imprenditoriale e come motore d’impresa. Credo che questa sia stata una svolta epocale e che gli imprenditori abbiano ben percepito che stava cambiando qualcosa di profondo: ci si è resi conto che per ogni iniziativa umana, sociale, imprenditoriale, le risorse che il nostro pianeta mette a disposizione non sono infinite e, di conseguenza, che tutto il progetto, di qualunque natura, debba basarsi sul presupposto che il bilancio ambientale sia positivo. Non mi riferisco al termine tecnico di bilancio ambientale ma ad un concetto ambientale in senso lato: il bilancio delle risorse disponibili prima e dopo l’implementazione di un nuovo progetto deve essere positivo. Come? Non è facile, e quasi sempre appare antieconomico, se visto con gli occhi delle vecchie regole di mercato. Ma sono queste che stanno cambiando, e chi percepisce l’entità di questo cambiamento vede lontano.

Qual è la grande difficoltà, il freno, l’inerzia che ha impedito al mondo degli imprenditori prima, non tanto di rendersi conto, ma di usare questo principio?

Il fatto che fosse difficilmente monetizzabile. L’imprenditore parte da un concetto di creazione di valore. Oggi l’imprenditore accorto, se mi si perdona la presunzione, deve riuscire a trovare un legame tra l’obiettivo di creare profitto, e questo intendimento ambientale visto ancora solo come un dovere morale ed etico. Personalmente, con Greenvision ambiente, ho trovato questo collegamento: anche più di uno, ma credo che ce ne siano almeno altri cento da scoprire. Da qui la sfida agli altri imprenditori.

Nel 2004 Greenvision entra in Expandi. Quali sono stati i passi per accedere al segmento di Borsa Italiana? 

Ci vuole la giusta motivazione ed un’idea, valida ed esclusiva, da trasformare in un Progetto, con il suo business plan profittevole e ben documentato, tale da infondere interesse e sicurezza negli investitori. Il tutto da inserire in un adeguato contenitore, un azienda che deve avere i giusti requisiti. Premetto che inizialmente Greenvision ambiente, fondata con il nome di Italdreni, era una realtà artigianale in termini di dimensioni e di modus operandi, ma che però già cominciava a guardare lontano: l’obiettivo infatti non era di vendere ciò che produceva, come in genere avviene, bensì di fornire soluzioni cost-effective a problemi dell’ambiente, relativi in particolare ai temi del controllo delle acque nel terreno e del dissesto idrogeologico. I primi passi sono stati quelli di studiare le regole che governano l’ingresso nel mondo della finanza, ed in particolare quello della borsa, a partire dalla Governance dell’azienda e delle garanzie che deve dare agli investitori, dei requisiti di trasparenza, della buona comunicazione, degli strumenti di controllo di gestione ed altro: insomma, bisognava preparare il “Contenitore” di un Progetto accattivante. Già, perché questo era l’ingrediente fondamentale: un Progetto che fosse al contempo innovativo, attuale, altamente profittevole, audace ma credibile, in cui si potesse dimostrare di essere leader, ed un passo davanti ad eventuali inseguitori. E’ stato un lavoro estremamente interessante, entusiasmante e stressante che abbiamo dovuto realizzare in pochissimo tempo, iniziando con la costruzione dell’équipe dedicata al progetto: in pochi mesi il passaggio da una piccola/media azienda, con buone idee e tanta ambizione, ma di stampo post artigianale, ad una realtà industriale ben strutturata: un percorso che normalmente richiede molti anni. Volevamo infatti aggiungere al Progetto Industriale anche il “plus” di essere i primi ad accedere al nuovo segmento di Borsa denominato “Expandi”, cosa che imponeva il rispetto di tempi stretti. L’idea di base era nata alcuni anni prima, riflettendo sul futuro di un Azienda - già ben posizionata nella sua nicchia di mercato - alla ricerca di nuovi orizzonti nel settore di riferimento: l’Ambiente. Qui, ritengo che abbia contribuito un mio passato da “fantasista” , ben radicato però su di una struttura e forma mentis da ingegnere. Dalla descrizione e segmentazione del mercato dell’ambiente, in prima analisi suddiviso in Acqua – Aria- Terra e Fuoco (Energie Innovative), nacque un primo progetto, chiamato “SOS ambiente”: un sistema centrale per gestire l’aggregazione delle migliori competenze individuali sul mercato, per ciascuno dei segmenti individuati. Un meccanismo complesso, estremamente ambizioso, forse presuntuoso, che avrebbe consentito alle autorità preposte al governo del territorio e dell’ambiente, ed al mercato privato, di disporre in modo organico ed organizzato delle più efficaci ed efficienti soluzioni disponibili: uno strumento che ancora non esisteva. E che poteva sfociare in una sorta di delega in outsourcing di responsabilità ambientali, sorretta dalla garanzia di cadere nelle mani giuste. Apro in proposito una parentesi, per comprendere come questo progetto realizzato in anteprima in Italia, aveva i presupposti di un Business Model da esportare. Il nostro Paese infatti rappresenta il più interessante laboratorio ambientale del mondo: è distribuito in pochi kmq di montagne aspre e pianure densamente popolate, corsi d’acqua e sottosuoli a forte rischio idrogeologico, sismico, erosivo, con alti livelli di inquinamento chimico, acustico ed elettromagnetico; il tutto concentrato in un Paese altamente sviluppato e tecnologico, un passato poco attento a questi temi, un presente con una forte coscienza sociale, spesso deformata da correnti strumentali a scopi politici. C’è veramente di tutto. Quando presentai questo progetto alle maggiori autorità Ambientali, – era la fine degli anni ’90 – ricordo quale fu il commento: “Questo è un progetto ambientale molto ambizioso, quasi presuntuoso: sarebbe un fatto eccezionale riuscire a realizzarlo.” Ciò fu di sprone : da lì è partita il progetto di sviluppo di Greenvision ambiente, poi sfociato nel progetto borsistico.

Cosa consiglierebbe ad un imprenditore che debba decidere se quotarsi?

E’ necessario disporrre di un progetto con una buona connotazione innovativa, forti fattori differenzianti , perché non si può partire da mediocri, ma convinti di essere i migliori nel proprio settore. Importante anche scegliere il perimetro geografico di competizione e studiarne le barriere al’ingresso: siamo in un mercato sempre più agguerrito e minacciato da economie ieri lontane ma oggi vicine, in cui valgono regole di competizione diverse e non sempre eticamente corrette. Bisogna poi essere consapevoli che, con la quotazione, si diventa “Azienda pubblica”, e si perde il diritto di fare ciò che si vuole a casa propria: comunicazione, efficienza, controllo, trasparenza, adeguata governance, diventano temi quotidiani obbligatori che, oltre ad assorbire nuove risorse, concorrono a determinare il risultato borsistico. Per chi è già esperto nel creare valore “levereggiando” finanza, comunicazione e immagine, visti i recenti accadimenti, devo ricordare di porre la giusta attenzione tra queste pratiche e l’antico concetto che il valore si crea dal basso, con la capacità di creare sani e competitivi prodotti, con adeguate piattaforme industriali. Il settore dell’Ambiente rappresenta un’opportunità, e per chi ha le giuste competenze, una via di minor resistenza.

Quali obiettivi sono stati realizzati nel periodo successivo alla quotazione? E quali nuove frontiere ha aperto l’ingresso decisamente positivo in Expandi?

Una premessa per spiegare perché Expandi, nonostante avessimo i numeri per accedere ai segmenti superiori: proprio in quel periodo si stava operando la conversione del vecchio Mercato Ristretto a questo nuovo segmento di Borsa , e ci venne offerta la possibilità di fare da apripista. Questa cosa ci è piaciuta: esordire con un progetto innovativo nel nuovo mercato Borsistico, avrebbe moltiplicato l’effetto comunicativo, spinto altre Aziende ad accedere al nuovo segmento ed attratto molti investitori. Così è stato. Dopo l’IPO, abbiamo utilizzato la visibilità, la competenza gestionale acquisita, la provvista finanziaria per fare acquisizioni nel 2004, 2005 e 2006. I passi successivi nel nostro progetto sono stati la logica conseguenza della strada che avevamo ben tracciato.

Emma Mercegaglia recentemente ha auspicato una maggiore efficienza energetica come motore per lo sviluppo del paese. Secondo lei attraverso quali passi sarà possibile incentivare tale progetto? Quali altri ambiti andrebbero valorizzati unitamente al risparmio dell'energia?

Una delle chiavi di lettura del mio progetto era fondata proprio sui due pilastri che governano gli sviluppi futuri: la materia e l’energia. Fino a qui il pilastro materia è stato letto in chiave di estrazione di materie prime (petrolio, gas, minerali): la nuova chiave di lettura si basa sul riutilizzo dei materiali che sono già stati estratti ed utilizzati una prima volta, rigenerandoli e riqualificandoli come addirittura migliori del materiale originario. Cosa che è possibile grazie alla tecnologia. Sotto il profilo, in senso lato, del miglioramento a cui Emma Marcegaglia faceva riferimento per la necessità di operare ricerca e sviluppo nell’ambito dei materiali, si dovrebbero inventare nuovi materiali o nobilitarli partendo dall’utilizzo di quelli che già esistono, facendo di nuovo una mappatura del ciclo di vita di ciascun materiale e facendo in modo che niente vada disperso. Nell’ipotesi di costanza di consumi si potrebbe pensare ad un ciclo chiuso, ma gli incrementi demografici e di livello degli standard di vita generano aumenti dei fabbisogni, a cui bisogna trovare risposte nuove. “Pangea”, la nostra Terra, ha capacità autorigeneranti, non infinite, che possono essere utilizzate con accortezza per riempire il gap tra fabbisogno e disponibilità derivanti da riutilizzo. Il mondo vegetale ne è la porta d’accesso: Attraverso un utilizzo accorto delle piante si possono ottenere grandi quantità di materia per i più svariati usi: dal mondo delle costruzioni, all’elettronica, ad ogni campo biomedico, all’industria aerospaziale. Ed una pianta si rigenera in un milionesimo del tempo necessario al regno minerale. La risposta alla giusta osservazione della Marcegaglia è che bisogna ricordare che oltre al mondo dell’energia esiste anche un mondo della materia nel quale c’è ancora molto da fare. Il problema fondamentale però del paese Italia è che siamo rimasti indietro di almeno un ventennio nelle attività di ricerca e sviluppo: forse non tutto è perso, e se anziché esasperare la ricerca di creazione di valore solo attraverso costruzioni finanziarie si tornasse ad investire su sane piattaforme industriali, fondate su competenza e competitività, forti della storia e della fantasia che ci caratterizza (noi Italiani), forse le cose andrebbero diversamente. Investire in ricerca è oggi imperativo, e i nostri governanti dovrebbero fare qualche sforzo in più per ricostruire un futuro per l’imprenditorialità italiana. Anche nel settore dell’energia e delle costruzioni avanzate, in cui opero da oltre trent’anni, ci sarebbe tanto da dire per ricostruire nuovi vantaggi (per il mercato) e opportunità (per gli imprenditori). Ci vorrebbe solo un po’ più di spinta , perché le competenze già ci sono. .

Un progetto di ricerca in cui consiglierebbe e auspicherebbe di investire.

Mi sono permesso di dare qualche suggerimento e qualche orientamento, ma i progetti su cui puntare me li tengo ben stetti in questo momento.

Il nostro sito dedica una intera sezione alle iniziative di Mecenatismo realizzate da professionisti della finanza, lei che opera attivamente in un progetto come Arte Reale nella promozione della cultura, a quali eventi vorrebbe dare voce?

La mia famiglia si occupa di arte per pura passione da oltre quarant’anni. Mio padre aiutò artisti di paesi dell’Est Europa a fuggire dai regimi comunisti, nei quali, sebbene di grande valore, erano compressi ed artisticamente prigionieri. Arrivarono nostri ospiti in Italia, e qui li aiutammo a lanciarsi su mercati internazionali, spesso con grande successo e risonanza. Molti di quegli artisti oggi sono diventati famosi. E’ rimasta la soddisfazione di aver fatto qualcosa di buono. Ritengo il patrimonio culturale e la capacità di espressione artistica il bene più prezioso che la natura ha regalato all’uomo, ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi. Questa attività di dedizione all’arte, avviata da mio padre, era gestita in funzione delle risorse disponibili in famiglia, spesso insufficienti rispetto ai desideri, ma non abbiamo mai fatto ricorso a “Sponsor”, né tantomeno intrapreso attività imprenditoriali in questo settore. Il mondo dell’arte, oggi, è molto cambiato: è diventato un vero e proprio mercato, al pari di ogni altro. Nel settore dell’Arte Contemporanea, si crea un nuovo “Prodotto”, cioè un Artista con la sua produzione, si comunica sul mercato, si aggiunge valore con azioni mirate, si crea un profitto per attori principali ed intermediari. Spesso tutto ciò avviene a prescindere dal vero contenuto artistico. La principale conseguenza è l’insorgere di diffidenza da parte di collezionisti o, in genere, amanti dell’arte, che già si devono districare nel difficile compito di valutazione di un asset così immateriale. Per questo abbiamo creduto di poter offrire agli artisti contemporanei che hanno un potenziale artistico (selezionati mediante il nostro comitato artistico) la possibilità e la libertà di avere una vetrina in punto di eccellente visibilità, il Quadrilatero della moda di Milano, un imbuto di passaggio di persone da tutto il mondo, offrendo inoltre una serie di aiuti per presentare le loro opere senza dover ricadere nella logica del mercato dell’arte. Questa è la finalità di Arte Reale, il cui obiettivo è riempire un vuoto, offrendo ad artisti che valgono la liberta di crescere sul mercato.

Come vede il suo futuro ora?

Senz’altro molto sfaccettato, come del resto lo era già prima. Terminata l’avventura Greenvision Ambiente/ Italdreni, alla quale – partendo da zero – ho dedicato gli ultimi vent’anni, intendo proseguire il mio passato da “costruttore di opportunità”. Certo, nel futuro presterò maggior attenzione alla scelta dei soci, ed in particolare agli equilibri di potere interno: cogliendo una massima di mia madre, che dice che da ogni male nasce sempre un bene, devo dire infatti che quest’esperienza mi ha dato molto, in ogni senso. Dalla fine degli anni settanta mi occupo di ambiente, di energie, di territorio e costruzioni. Ho costruito molte aziende partendo da zero, tutte di successo. Da allora, ciò che è cambiato, sono le conoscenze e l’esperienza maturata in questi settori, che oltre all’avviamento di nuove opportunità, stanno generando molte richieste da parte di terzi di coinvolgermi in strutture esistenti. In questi casi, il recupero dei miei capitali da Greenvision, mi consente ingressi sia operativi che finanziari in Aziende in crescita con forti presupposti di sviluppo. E’ li che ritengo di poter dare contributi interessanti, ma sui singoli casi debbo mantenere ancora riserbo. Ritengo comunque ancora fortemente , attuale ed ulteriormente potenziabile il mio progetto iniziale nel settore ambiente, con i suoi presupposti di costruzioni aggregative di competenze e risorse.

Quali suggerimenti darebbe a FinanzaStraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle sue esigenze di professionista?

Di professionista, ma soprattutto di imprenditore, direi; e mai come in questo momento di potenziali grandi cambiamenti dopo il recente shock finanziario , il ruolo di un iniziativa come Finanza straordinaria può contribuire sensibilmente a diffondere cultura, conoscenze ed opportunità, perché ne ha i presupposti. Internet è una formidabile piattaforma comunicazionale; la finanza è al contempo generatore ed acceleratore di imprenditorialità; un team competente in senso trasversale e fortemente connotato verticalmente su temi attuali e critici, rappresentano un cocktail vincente. Credo che i temi legati all’ambiente, oggi, più di quelli legati all’alimentazione e alla salute, vedano un palcoscenico mondiale in cui il numero degli attori è ancora distante dalla misura da colmare. In In termini semplici, c’è più domanda potenziale che offerta, anche se la crescita di quest’ultima è stata di recente esponenziale. Non sempre però qualificata e competente: molte aziende, se avessero esordito con quei presupposti negli altri due più maturi settori citati (alimentazione e ambiente) , si sarebbero auto estinte in poche settimane. Ma per chi ha competenze vere, e vuole cavalcare la tigre, ora è il momento: ricordiamoci che da sempre la storia ci ha insegnato che ogni “gradiente”, ogni differenza di potenziale, è stato latore di grandi opportunità: si tratta solo di trovare le giuste chiavi di lettura, e… di saperle cogliere. Ad majora, dunque.

                                     Editor finanzastraordinaria  © www.finanzastraordinaria.it 01/12/2009