Intervista Simone Cimino

Simone Cimino - Presidente e Fondatore Cape Nato ad Agrigento, laurea con lode all'Università Bocconi e borsa di studio alla New York University nelSimone_Cimino_FILEminimizer 1983. Lavora per 7 anni in Montedison sotto la guida di Giuseppe Garofano. E' poi Partner e A.D. di LBO Italia. Nel 1992 si mette in proprio, fondando Advance. Fonda nel 1999 la spa Cimino & Associati Private Equity di cui è Presidente; in poco tempo attira l'attenzione del gruppo francese Natixis con cui crea un accordo nel 2001. Nel 2003 nasce la società di gestione del risparmio Cape Natixis Sgr S.p.A.. L’attività di investimenti culmina con la nascita della Sgr e la raccolta del suo primo fondo gestito, Cape Natexis Private Equity Fund (gennaio 2004).

Cape promuove nel 2008 un fondo immobiliare e avvia i lavori del fondo dedito esclusivamente alle PMI Siciliane. Simone Cimino ricopre inoltre la carica di Vice Presidente di Arkimedica, quotata Expandi, Vice Presidente di Cape Listed Investment Vehicle, quotata su MTF, Presidente della Fondazione Financidea e Consigliere dell'Aifi e dell'European Venture Capital Association

Quale è stata la motivazione che l'ha spinta a fondare Cape? Quali obiettivi si era posto all'inizio del progetto?

Cape è nata nel Febbraio del 1999 con lo scopo di creare una società di Private Equity specializzata negli investimenti di piccole imprese. In particolare mi rivolsi ad investitori privati, piccoli imprenditori e consulenti professionisti che avevo conosciuto in quegli anni e che avrebbero potuto sottoscrivere l’impegno per la creazione di un piccolo fondo.

Il passaggio generazionale spesso rappresenta un momento delicato per la vita di una PMI. Il Fondo di Private Equity può essere la soluzione per salvaguardare l'impresa?

Abbiamo fatto del passaggio generazionale la nostra stessa ragione di esistenza. Ad oggi abbiamo 37 partecipate e facciamo un investimento al mese da circa tre anni. Dal momento della nascita di Cape ad oggi, abbiamo realizzato oltre 55 investimenti tutti relativi a piccole o medie imprese che necessitano di un passaggio generazionale e di sviluppo. Il ricambio generazionale deve innanzitutto essere fondato sui meriti e non su scelte dinastiche. Se all'interno di un nucleo famigliare ci sono dei meriti è certamente positivo trasmettere ai componenti l’azienda, ma se così non fosse, è necessario avere il coraggio di affrontare anche l'innesto di energie esterne. Se una famiglia è in grado di proseguire da sola anche dal punto di vista finanziario oltre che manageriale, non ha bisogno di un fondo di Private Equity, non serve nemmeno la Borsa. Se invece non ha risorse finanziarie da impiegare nell’azienda o ha la necessità di fare uscire un socio, allora il Fondo è la soluzione percorribile.

Tre buoni motivi per optare per il Private Equity piuttosto che per un’altra forma di finanziamento.

Ogni realtà ha bisogno di cambiamento per vivere bene. La forma del Private Equity comporta una condivisione del rischio ed è una scelta ”sana” se si è aperti a una Governance “invasiva”. La Borsa ancorchè apra alla trasparenza, presenta una Governance che non può definirsi mai invasiva. La Governance del Private Equity comporta una scelta di fondo più incisiva: il Fondo pretende di avere una voce in capitolo molto più forte rispetto alla Borsa. Ha i diritti per esercitarla e ha elementi contrattuali sottoscritti ad autorizzarla, entra in casa dell'azienda e in quella casa ha voce autorevole. Qualora la famiglia non abbia predisposizione ad avere una società a fianco il Private Equity non va bene.

Quali sono le motivazioni che portano a concludere un’operazione di Private Equity? Quali i vantaggi che si aspettano di ricevere coloro che partecipano all’operazione?

Bisogna diversificare almento tre punti di vista principali: investitori, gestori e impresa. Gli investitori si aspettano un ritorno ambizioso (30% del ritorno composto annuo al lordo delle spese e delle commissioni, quindi intorno ad un 24-25% di ritorno composto annuo netto). La storia dimostra che in oltre trent’anni il Private Equity ha sovra performato rispetto alla Borsa quindi ha dimostrato di essere uno strumento di ritorno del capitale investito migliore degli indici di Borsa. L’ottica dei gestori può definirsi più industriale che finanziaria. Noi passiamo più tempo accanto alle aziende a studiare prodotti, logistica, situazione internazionale, clienti, strategie e non ad occuparci di valute, tassi, ratei. Studiamo clienti ed investitori, costruendo una stabilità di relazioni con l’impresa molto duratura poiché i rapporti di partecipazione durano dai 4 ai 6 anni. Pertanto i gestori riscontrano il risultato dopo 8-9 anni dalla semina, diversamente gli altri operatori di finanza e borsa hanno un ritorno immediato. Dal punto di vista dell'impresa, considerando anche la sua situazione storica, il vantaggio è avere un socio di capitale con cui condividere il percorso.

Quale il bilancio della quotazione di Arkimedica nei suoi pro e contro a distanza di due anni?

Arkimedica è il più bel progetto industriale e borsistico che abbia potuto concepire. Industriale perchè quando l’ho concepito sognavo di mettere insieme realtà diverse (Sogespa, Delta Med, Icos) e farne un unico polo che avesse le energie per diventare il primo operatore italiano per l'assistenza agli anziani. Ci quotammo con circa 300 posti letto in gestione, due anni dopo ne avevamo 3000. Il fatturato iniziale era basso (10 milioni di euro), oggi più di 65. Il gruppo si quotò con 90 milioni di fatturato. Oggi l'ebitda dovrebbe essere doppio rispetto a quello di quotazione. In 2 anni pertanto le capacità di delivery sono state superiori alle attese grazie anche ad un modello di business che ha funzionato e sta portando risultati. La quotazione è stata un’esperienza importante e forte ma realizzata mantenendo un approccio rispettoso nei confronti dei bisogni dell'azienda e del mercato. Un puro 95% fu ops, fu raccolto capitale per la crescita. Un anno dopo riuscimmo a raccogliere 28 milioni di euro con il 5% di rendimento utilizzando un bond convertibile. Abbiamo raccolto in 2 fasi 56 milioni di Euro su Expandi. E' un progetto che rifarei e che la borsa ha saputo sostenere.

Quali caratteristiche rendono una PMI appetibile per l'investimento da parte di un Fondo?

In riferimento ai miei fondi posso dire che le piccole medie imprese target presentano caratteristiche specifiche: l’ubicazione nel centro nord (area principale dove investiamo), un margine operativo lordo superiore al 10%, un costo come intervento di un multiplo intorno a 5 volte il valore dell’ebidta e la disponibilità da parte dell’imprenditore / socio a rimanere con noi. E’ interessante che diano una Governance di uscita paritetica al socio di maggioranza.

Quali cambiamenti avvengono dopo l'ingresso del Fondo nella compagine societaria?

Il Fondo non pretende di gestire l'azienda ma certamente necessita di una Governance paritetica relativamente a quelle decisioni non ricorrenti come per esempio per deliberare acquisizioni, investimento e via d'uscita. Le strategie di crescita si delineano prima così come gli equilibri vanno contrattualmente impostati prima. In che modo si possono ricreare gli equilibri interni dopo l'ingresso di un Fondo? Spesso l'azienda non percepisce l'impatto del Fondo a meno di cambienti radicali nel team manageriale. Ci sono casi in cui l’imprenditore presenta il fondo direttamente al management dell’azienda favorendo l’instaurazione di un clima positivo e motivazionale in un momento di cambio di equilibri. Personalmente mi è capitato nel caso dell’azienda Zappalà, primo ed importante investimento realizzato in Sicilia. In questo frangente mi è stato anche chiesto di diventare Presidente dell’azienda, carica che non era diritto contrattuale del Fondo, ma che hanno ritenuto di propormi in virtù di una chimica personale e del rapporto positivo instaurato oltre che per la stima professionale.

Quali sono gli elementi imprescindibili per portare una società alla quotazione?

Una azienda può riuscire nell’esperienza della quotazione se ha il sogno da vendere e da condividere. L’ingresso in borsa infatti non è più concepibile, come poteva accadere negli anni 70-80 per “scaricare i problemi” al mercato, è finito quel periodo. Il sogno è un desiderio da realizzare, che va coltivato giorno per giorno. Quando non esiste o non è forte anche la quotazione ne risente perché mancando la cura motivazionale si sgonfia il fattore emotivo tra gli investitori e succede che la società venga dimenticata dal mercato. Prima della quotazione esiste una curva motivazionale tra imprenditore, management e dipendenti, la stessa che ad ingresso in Borsa avvenuto, è difficile mantenere. Dovendo tenere sempre sotto controllo gli standard di certificazione e di incremento dei risultati, si crea un rapporto di amore/odio nei confronti del mercato: quando premia è positivo, al contrario è negativo. Bisogna mantenere la coerenza di un piano strategico industriale sottostante, portarlo avanti a prescindere dagli umori del mercato e non andare solo emozionalmente con l'onda. Come avviene la scelta di un advisor che conduca alla quotazione? Quali caratteristiche sono basilari? La scelta di un advisor è difficilissima. Bisogna trovare qualcuno che abbia competenza, intraprendenza e reputazione. L'advisor va adattato alle caratteristiche del singolo progetto. Nell’operazione Trevisan (2003) per esempio scelsi Abax e come Co-leader Centrobanca, era il riferimento giusto in quel momento e aveva il suo spazio sul mercato. Nel 2006 Arkimedica fu quotata da Intermonte che era stata fuori dal mercato per 6 anni e non arrivava sul mercato degli IPO dal 2000.

Lei ha investito nelle imprese siciliane con il Fondo Cape Regione Siciliana. Come è nato il progetto e a quali risultati mirate?

L'idea nasce da una combinazione di fattori oltre che dal fatto di essere nato in Sicilia. Nel 2001 avevo seguito progetti di delocalizzazione sull’isola di imprenditori del nord, curandone gli investimenti industriali. Fu un successo e compresi che era possibile fare business in Sicilia. Nel 2005 partecipai ad un Bando di selezione promosso dalla Regione per la scelta di un investitore di Private Equity nazionale o internazionale che aiutasse per la costituzione di un Fondo di 30 milioni di Euro.

Quali sono i driver su cui contare per sostenere gli imprenditori dell'isola?

I driver di crescita sono gli stessi che si usano al nord. L'obiettivo è investire in 10 realtà industriali. Sarà più che altro capitale per lo sviluppo e non buy out perchè sono aziende che devono crescere e convincere l'imprenditore con gli stessi argomenti del nord.

Come ha incontrato Natixis e su che basi è nata la vostra collaborazione?

Natixis stava cercando in Italia nel Giugno 2001 un professionista che lavorasse per loro. Quando mi contattò Cape era nata già da un anno e mezzo, aveva già dei dipendenti e 5 partecipazioni acquisite. Abbiamo coniugato le aspettative: loro hanno accettato anziché di avere un dipendente di avere un partner, io ho accettato di diventare loro partner. Dopo due anni di fidanzamento in cui abbiamo investito insieme, nel 2003 abbiamo realizzato il fondo SGR italiana da 120 milioni di Euro. Da lì il nostro cammino è proseguito fino ad oggi in modo molto soddisfacente. Le basi della collaborazione sono molto chiare: loro sono gli sponsor dei nostri fondi e mettono circa un quarto dei mezzi che noi raccogliamo ricavando un quarto dei benefici economici di queste gestioni. Per noi sono una disciplina, una forma di prudenza sui nostri investimenti, una sponda e una spinta internazionale per la crescita delle imprese: hanno infatti una ramificazione in tutti i continenti nel mondo private equity e non solo. Si uniscono così due fattori di riferimento per gli imprenditori italiani a cui ci rivolgiamo: Cape rappresenta una sicurezza sul territorio locale, Natixis un partner di minoranza dalle credenziali internazionali.

Quali i mercati internazionali su cui puntare?

Cina ed India in riferimento agli investimenti industriali. Se invece parliamo di Fondi di investimento che devono investire questo è un tema più articolato.

Un sogno nel cassetto: quale obiettivo professionale vorrebbe ancora raggiungere?

Sono obiettivi imprenditoriali. Il mio Sogno di fare di Cape un sistema nazionale di Private Equity cioè essere domestici in ogni parte del territorio dove si possa aiutare un’impresa a diventare più grande. Il progetto Sicilia si muove in questa direzione così come il progetto Cape Centro ossia un fondo dedicato al centro italia, nato da poco tempo. L’Italia è un territorio di PMI ed è questo il bacino più fertile per gli investimenti. Dobbiamo in tutti i modi raddoppiare la massa amministrata da 500 milioni di euro portandola oltre i 1000. La nostra riconoscibilità oggi è ancora limitata alla enclave del Private Equity, Se allarghiamo la nostra percezione a livello nazionale gli imprenditori arriveranno a noi in automatico.

Quale “investimento” secondo lei sarebbe utile per scoprire ed incentivare giovani di talento? Quali consigli darebbe ad un giovane per crescere professionalmente nel suo settore?

Faccio dei giovani la mia forza. Il mio investimento è legato sia alla loro formazione che al coaching. Tutti i giorni quando posso sto con loro, li formo. Da noi ci si butta in mare e si naviga. Pertanto i giovani devono essere curiosi, creativi, molto onesti, avere un’etica di altissimo spessore, sapere di essere esposti al giudizio sui risultati. Il nostro è un sistema meritocratico dove si è pagati sui risultati, il bluff non conta, sono giudizi assoluti non di valore.

Quale è stata la più grande sfida della sua carriera? Quale l'errore che non rifarebbe e quale la più grande vittoria?

La più grande sfida deve ancora arrivare, si è sempre proiettati a fare qualcosa di diverso. Una sfida iniziale fu mettersi in proprio, lasciare Montedison nel 1991 in una fase di grande successo e sviluppo. Non fu una scelta legata alla sicurezza economica ma determinante fu il fuoco dentro, la molla interna, una gran voglia di fare, mettere a frutto le cose imparate. Un errore? Non aver curato bene il mio percorso formativo successivo alla laurea. Subito dopo averla conseguita cominciai a lavorare in Montedison dove rimasi per 5 anni. Non ero mentalizzato sulla carriera. Ho ricevuto una grandiosa formazione sul piano relazionale, manageriale ed istituzionale ma non avevo costruito una relazione internazionale nel campo del Private Equity, così ho perso nove anni rispetto ai miei colleghi.

La sua più grande vittoria?

I miei figli.

Quali suggerimenti darebbe a FinanzaStraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle sue esigenze di professionista?

Mantenere una leggibilità facile e una disposizione chiara dei contenuti e fare una scelta di posizionamento come parlare dei grandi nomi o parlare di piccoli nomi che sono delle chicche.

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