Intervista Gianfranco Piantoni

Professor Gianfranco Piantoni - Studio Ambrosetti e Sda Bocconi Gianfranco_Piantoni_FILEminimizerGianfranco Piantoni collabora con la SDA Bocconi come coordinatore del Master FIFA. Da diversi anni lavora con il Gruppo Ambrosetti su progetti nell’ambito della strategia aziendale e del rapporto famiglia/impresa. In particolare è coordinatore di “Leader del futuro”, progetto dedicato ad alti potenziali. Professore di Strategia Aziendale presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università L. Bocconi e direttore del master serale presso la stessa Università, ha insegnato all’Università di Bologna e al CRC di Parigi: Con la Comunità Europea ha diretto alcuni progetti in Argentina, Cile, Paraguay e Perù.

Spesso ci siamo imbattuti anche su segnalazione dei nostri professionisti iscritti, nel tema del passaggio generazionale. Come le seconde generazioni possono essere aiutate ad entrare nella vita dell’impresa?

Il passaggio dalla prima generazione (quella dei fondatori) alla seconda, se il business è avviato e forte, non crea problemi. L’inserimento avviene senza troppe preoccupazioni e garantisce anche una cultura più “giovane”all’impresa. Se invece l’andamento della società è difficoltoso, subentrano alcune problematiche. Non va neppure trascurata la volontà della seconda generazione di innovare l’azienda. Un tentativo questo che spesso trova ostacolo nella prima generazione, più incline a preservare ciò che si è creato temendo uno snaturamento rispetto alle origini.

Lei ha parlato di una differenza culturale. Ma al di là degli studi più approfonditi che possono caratterizzare la seconda generazione, che tipologia di formazione si può consigliare ai giovani che facciano il loro ingresso in azienda?

La formazione investe un ruolo rilevante e in particolare quando ci riferiamo alla terza generazione. Quando ci sono più nipoti che potrebbero entrare in azienda è necessario che si capisca chi potrà entrare e che cosa fare. Spesso è necessaria una selezione. Ci sono realtà aziendali che a fronte di cinque eredi nella seconda generazione arrivano a 15 nella terza. A questo punto se non si agisce con una strategia precisa e lungimirante l’impresa si può sciogliere perché ci sono posizioni di controllo già ricoperte da eredi e quindi i manager esterni non vedono alcuna attrattività di carriera. Capita però che ci siano realtà oculate in cui il passaggio venga pianificato per tempo, magari alternando la guida dell’azienda da parte di un membro della famiglia prima e di un manager esterno poi. In questo modo partecipando per gradi alla vita dell’impresa i giovani avranno la possibilità di imparare sul campo, all’interno dell’azienda, il suo funzionamento, i suoi meccanismi per poi poter portare ulteriore valore aggiunto.

L’intervento di un fondo di private equity può però essere una soluzione alternativa per il passaggio generazionale. Secondo lei è più interessante come ipotesi per tutelare l’azienda in una fase della sua vita e preparare al contempo la seconda generazione?

Il fondo generalmente si presenta quando subentrano problemi di eccessivo ingrandimento che quindi comportano una necessità di maggiori risorse finanziarie. Nella mia idea però l’ingresso del fondo preclude la possibilità al rientro della famiglia.

Quando è necessario l’ingresso di un fondo? E quando al fondo conviene investire in una società?

I fondi entrano quando c’è una tensione finanziaria e quindi il business si è inceppato, quando l’azienda ha bisogno di risorse in un percorso di internazionalizzazione o crescita, quando ci sono più quote e liti tra i singoli detentori. In particolare quando l’impresa è “povera” e la famiglia è ricca, si crea una grande occasione per il fondo perché significa che il business rende. La grande fortuna dell’investimento di un fondo è trovare una azienda ben strutturata ma senza un erede diretto. Pertanto ci sono due differenti soluzioni dinanzi alle quali si trova il fondo: una azienda bella ma senza soldi, una azienda bella ma senza eredi. In entrambi i casi il fondo entra in azienda. Ma spesso ci sono imprenditori ostativi all’ingresso di una “terza parte” in società… L’80% delle aziende in Italia è nata perché siano poi i figli a portale avanti e in alcuni casi le famiglie non accettano neanche un intervento di consulenza esterno.

In Italia i fondi di Private Equity sono già entrati nel settore della consulenza come per esempio è successo in Inghilterra?

Per la mia percezione non è ancora accaduto, è raro che succeda anche nelle imprese che seguo io per cui curo una consulenza legata ai patti di famiglia.

Secondo lei non è un controsenso che in questo periodo i fondi di Private Equity, che fino al primo semestre 2008 sono cresciuti, ora che si presentano delle grandi occasioni siano immobili?

I Fondi si stanno chiedendo quanto durerà questa fase. Per loro è importante determinare fin dall’inizio dell’ingresso in società la strategia di way out e la risposta a questa domanda non è da poco: 6 anni, 6 mesi? Generalmente la loro permanenza in azienda è pianificata nei tre anni ma in questo periodo è necessario pensare ad un prolungamento. Certamente in questa fase si presentano grandi opportunità e un punto interrogativo sulle minacce connesse, mentre di solito ci sono buone opportunità e minime minacce.

Come sono cambiate, se cambiamento c’è stato, le strategie della vostra consulenza in relazione al periodo di crisi che stiamo vivendo?

Fortunatamente la crisi non ha intaccato la nostra struttura. Anche nell’ambito della consulenza bancaria, che tuttavia rappresenta una percentuale veramente esigua del nostro intervento, si può verificare una flessione. Ma è anche vero che proprio in questi momenti una azione di consulenza possa essere più necessaria per trovare la cura.

Quanto tempo durerà ancora la crisi economica internazionale?

E’ probabile che a metà 2009 ci sia una ripresa. Ma non siamo ancora arrivati al fondo, non ne abbiamo ancora preso coscienza.

Quali prospettive vede a livello nazionale ed internazionale per uscire dalla crisi?

Il debito pubblico dell’America è uguale al suo prodotto interno lordo e più di un terzo del debito è nei confronti della Cina. Per risolvere questo grosso problema di liquidità secondo me Obama andrà in Cina per ottenere un prestito. E una possibile negoziazione potrebbe riguardare liquidità in cambio di tecnologia. Se questo avverrà ci potrà essere una ripresa più veloce.

Un consiglio a finanzastraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle esigenze dei professionisti di corporate finance.

Fidarsi sempre del più bravo. E chiedersi come essere i più bravi in quello che si fa. Sono parole che ho imparato a mia volta da un grande imprenditore come Apollinare Veronesi. Non a caso la sua azienda è alla terza generazione.

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