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Finanza agevolata come risorsa alternativa al seed capital
Written by Super UserUn’alternativa alla difficoltosa ricerca di capitale di rischio seed nel mercato (esangue) degli investitori italiani
Con il presente articolo si intende proporre una via alternativa per colmare una lacuna cronica del sistema finanziario italiano: la scarsità del capitale di rischio.
In particolare ci si focalizzerà sugli aspetti più strettamente legati alla realtà delle start up innovative, ove la scarsità di capitale di rischio si rivela spesso esiziale.
Il percorso che si propone intende fornire una via alternativa alla ricerca spesso spasmodica da parte del nuovo imprenditore, il quale anziché dedicare tutte le proprie energie per lo sviluppo del prodotto / servizio da lanciare sul mercato, deve spesso trasformarsi in una sorta di “piazzista” della propria azienda, cercando presso tutti gli investitori di capitale di rischio quanto necessario per poter procede con lo sviluppo del proprio progetto.
Vi è una moltitudine di articoli che narra della frustrazione che questo tipo di attività cagiona al neo imprenditore, spesso spingendolo ad abbandonare la propria iniziativa davanti allo sconforto che ne deriva.
Senza voler entrare nello specifico del problema sopra evidenziato si intende con il presente articolo fornire una proposta per aggirare parzialmente tale ostacolo.
La proposta si evidenzia come un coacervo complesso di norme, spesso speciali e dedicate solo alle start up, congiuntamente alle opportunità che si aprono in seno all’Unione Europea per quanto riguarda i bandi di finanziamento agevolato.
Cominciando dalla norma “madre”, anche l’Italia ha deciso di dotarsi, con il Decreto Legge 179/2012“Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, di legislazione speciale a supporto delle nuove imprese (cd: “start up innovative”).
All’interno di tale normativa, più volte modificata a partire dalla legge di conversione, vi è l’articolo 27 “Remunerazione con strumenti finanziari della start-up innovativa e dell'incubatore certificato” , il quale fornisce strumenti specifici per sopperire alla cronica mancanza di capitale delle imprese start up ma anche di professionalità di alto profilo, stante l’impossibilità di remunerarle.
L’ipotesi del legislatore era certamente suggestiva ma si è rilevata sostanzialmente non percorribile e nei fatti scarsamente utilizzata. Il paradigma che sottintende la norma consente, infatti, il reclutamento di lavoratori dotati di alto valore di mercato senza un esborso diretto di risorse finanziarie ma attraverso l’utilizzo di vari strumenti (capitale ma anche strumenti partecipativi).
Nella sostanza lo scambio ipotizzato consisteva in un rapporto sinallagmatico a prestazioni differite, in cui prima l’impresa riceve una prestazione ad alto valore aggiunto e molto richiesta dal mercato, successivamente, anche grazie all’apporto di queste risorse professionali, una volta conseguito un risultato finanziario soddisfacente, il realizzo da parte del prestatore di quanto ricevuto per “monetizzare” la propria attività prestata.
Appare però di tutta evidenza come il rapporto risulti viziato da un’allocazione del rischio del tutto sperequata, a favore della start up, che di fatto ne ha reso difficoltosa l’adozione.
Difficile ipotizzare che vi siano molte controparti disposte a cedere una risorsa di mercato ambita e ben prezzata in cambio di qualcosa solo eventuale, differita e di esito affatto incerto.
Inoltre molto spesso l’imprenditore vede l’assegnazione di quote societarie come un evento traumatico, stante l’insofferenza verso l’intromissione nel processo decisionale societario da parte di persone aliene alla realtà primordiale che ha portato alla genesi dell’iniziativa.
La proposta, partendo da queste evidenze , cercherà di ri-bilanciare la distribuzione del rischio tra le due parti (a cui vedremo se ne aggiungerà una terza).
Ma tutto quanto sopra esposto non è ancora sufficiente al fine di consentire lo sviluppo di una nuova iniziativa imprenditoriale. All’”appello” manca ancora il capitale che serve, oltre che per pagare le risorse, anche per finanziare gli investimenti.
Per non ricadere in un processo tautologico è necessario introdurre nello scenario prospettato un’altra parte: l’Unione Europea, attraverso la Commissione, con i relativi bandi di finanziamento destinati alle nuove imprese.
Non si entra in questo articolo nel dettaglio degli specifici bandi, (peraltro chi scrive è Expert evaluator della Commissione per diversi bandi tra cui Horizon 2020 SME1, SME2, FTI, etc) ma si evidenzia come le disponibilità finanziarie siano abbondanti e per certo i contributi superiori a praticamente tutte le “size” di investimento dei fondi di venture capital italiani (3 milioni ad esempio per FTI, singolo round).
Ora, stante la disposizione di tutti i pezzi del puzzle sul tavolo, si cercherà di delineare la soluzione sopra anticipata.
Accedere a un bando di finanziamento come quelli sopra evidenziati comporta uno sforzo intellettuale e la disponibilità di competenze non usuali e certamente non comuni. Il costo di chi redige in outsourcing questi bandi, per seguirli completamente sino alla rendicontazione è spesso superiore ai 40.000 €, rendendoli nei fatti limitati a una ristrettissima cerchia di imprenditori molto ben introdotti e patrimonializzati (o in alternativa all’interno di sistemi pubblici che possano garantire la medesima prestazione professionale ma senza esborso finanziario) mentre l’ideale sarebbe consentire l’accesso a questi bandi anche a coloro che siano dotati solo di idee interessanti ma senza risorse finanziarie.
Attualmente il mercato italiano dei professionisti specializzati in bandi europei è caratterizzato da pochi operatori e quasi tutti valorizzano immediatamente la propria prestazione con congruo anticipo a cui si fa seguire successivamente, qualora il bando venga aggiudicato ai propri clienti, un’ulteriore fee a successo.
Le proposte per ottenere queste prestazioni con remunerazione totalmente a successo non vengono quasi mai accolte, per evidenti ragioni legate alla percezione del rischio superiore ai benefici.
La proposta che sintetizza e congiuntamente risolve le esigenze precedentemente descritte potrebbe invece far leva sulla possibilità da parte dell’azienda di ricorrere al comma 4° dell’art. 27 Decreto Legge 179/2012 e non offrire quote della Srl ai prestatori di servizi finalizzati ai bandi di finanziamento ma strumenti cd. di quasi equity, ossia che garantiscano un duratura remunerazione senza potere di interferire nella gestione con il voto d’assemblea. Vi sono diverse forme giuridiche possibili (ormai anche accettabili nel diritto italiano) che permetterebbero di riallineare il pay out – flusso di remunerazione del prestatore di servizi assimilandolo a quello di un socio, per cui ritornerebbe ad aver senso la valutazione di un rischio di fee solo a successo accompagnata alla trasformazione del credito professionale in ogni caso maturato (a prescindere dai risultati) in strumenti quasi equity. Senza contare il beneficio fiscale in quanto si tratterebbe di redditi non tassati ai fini IRPEF.
Il percettore di questi strumenti per un numero determinato di anni, più o meno lungo secondo quanto concordato tra le parti, avrà l’opportunità di rientrare dell’investimento professionale fatto con in più la possibilità di aggiudicarsi la success fee (auspicabilmente morigerata, in quanto le risorse dovrebbero restare nella società per lo sviluppo di quest’ultima dove anch’esso ne trarrebbe indirettamente del valore.
Contemporaneamente l’imprenditore non avrebbe nessuno in consiglio di amministrazione che pretenda di “saperne di più di chi ha sviluppato l’idea” e avrebbe inoltre più tempo da dedicare all’impresa, meno tempo sprecato in (spesso) inutili percorsi a ostacoli presso i venture capital, oltre a buone probabilità di avere buone risorse finanziarie per lo sviluppo senza dover svendere quote a venture capitalist nel momento di massimo bisogno (torneremo in un successivo articolo sul circolo vizioso dell’investitore di venture capital che senza fornire risorse finanziarie ha incertezza di quel che paga dovendo ridurre al massimo la valutazione e incrementare al massimo la partecipazione che proprio con il suo capitale verrebbe invece lenito ma con la complicazione che si troverebbe a pagare per benefici derivanti dal proprio investimento).
Infine i finanziamenti della Commissione Europea potrebbero raggiungere un miglior risultato e quindi apportare maggiore beneficio alla collettività, riuscendo a raggiungere una platea superiore di quella che dispone delle risorse per poter presentare un progetto con buona probabilità di successo.
Nella nota strategia di marketing si tratterebbe di una negoziazione WIN-WIN-WIN.
Perché non provarci?!!
MA 2015
Un’alternativa alla difficoltosa ricerca di capitale di rischio seed nel mercato (esangue) degli investitori italiani
Con il presente articolo si intende proporre una via alternativa per colmare una lacuna cronica del sistema finanziario italiano: la scarsità del capitale di rischio.
In particolare ci si focalizzerà sugli aspetti più strettamente legati alla realtà delle start up innovative, ove la scarsità di capitale di rischio si rivela spesso esiziale.
Il percorso che si propone intende fornire una via alternativa alla ricerca spesso spasmodica da parte del nuovo imprenditore, il quale anziché dedicare tutte le proprie energie per lo sviluppo del prodotto / servizio da lanciare sul mercato, deve spesso trasformarsi in una sorta di “piazzista” della propria azienda, cercando presso tutti gli investitori di capitale di rischio quanto necessario per poter procede con lo sviluppo del proprio progetto.
Vi è una moltitudine di articoli che narra della frustrazione che questo tipo di attività cagiona al neo imprenditore, spesso spingendolo ad abbandonare la propria iniziativa davanti allo sconforto che ne deriva.
Senza voler entrare nello specifico del problema sopra evidenziato si intende con il presente articolo fornire una proposta per aggirare parzialmente tale ostacolo.
La proposta si evidenzia come un coacervo complesso di norme, spesso speciali e dedicate solo alle start up, congiuntamente alle opportunità che si aprono in seno all’Unione Europea per quanto riguarda i bandi di finanziamento agevolato.
Cominciando dalla norma “madre”, anche l’Italia ha deciso di dotarsi, con il Decreto Legge 179/2012“Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, di legislazione speciale a supporto delle nuove imprese (cd: “start up innovative”).
All’interno di tale normativa, più volte modificata a partire dalla legge di conversione, vi è l’articolo 27 “Remunerazione con strumenti finanziari della start-up innovativa e dell'incubatore certificato” , il quale fornisce strumenti specifici per sopperire alla cronica mancanza di capitale delle imprese start up ma anche di professionalità di alto profilo, stante l’impossibilità di remunerarle.
L’ipotesi del legislatore era certamente suggestiva ma si è rilevata sostanzialmente non percorribile e nei fatti scarsamente utilizzata. Il paradigma che sottintende la norma consente, infatti, il reclutamento di lavoratori dotati di alto valore di mercato senza un esborso diretto di risorse finanziarie ma attraverso l’utilizzo di vari strumenti (capitale ma anche strumenti partecipativi).
Nella sostanza lo scambio ipotizzato consisteva in un rapporto sinallagmatico a prestazioni differite, in cui prima l’impresa riceve una prestazione ad alto valore aggiunto e molto richiesta dal mercato, successivamente, anche grazie all’apporto di queste risorse professionali, una volta conseguito un risultato finanziario soddisfacente, il realizzo da parte del prestatore di quanto ricevuto per “monetizzare” la propria attività prestata.
Appare però di tutta evidenza come il rapporto risulti viziato da un’allocazione del rischio del tutto sperequata, a favore della start up, che di fatto ne ha reso difficoltosa l’adozione.
Difficile ipotizzare che vi siano molte controparti disposte a cedere una risorsa di mercato ambita e ben prezzata in cambio di qualcosa solo eventuale, differita e di esito affatto incerto.
Inoltre molto spesso l’imprenditore vede l’assegnazione di quote societarie come un evento traumatico, stante l’insofferenza verso l’intromissione nel processo decisionale societario da parte di persone aliene alla realtà primordiale che ha portato alla genesi dell’iniziativa.
La proposta, partendo da queste evidenze , cercherà di ri-bilanciare la distribuzione del rischio tra le due parti (a cui vedremo se ne aggiungerà una terza).
Ma tutto quanto sopra esposto non è ancora sufficiente al fine di consentire lo sviluppo di una nuova iniziativa imprenditoriale. All’”appello” manca ancora il capitale che serve, oltre che per pagare le risorse, anche per finanziare gli investimenti.
Per non ricadere in un processo tautologico è necessario introdurre nello scenario prospettato un’altra parte: l’Unione Europea, attraverso la Commissione, con i relativi bandi di finanziamento destinati alle nuove imprese.
Non si entra in questo articolo nel dettaglio degli specifici bandi, (peraltro chi scrive è Expert evaluator della Commissione per diversi bandi tra cui Horizon 2020 SME1, SME2, FTI, etc) ma si evidenzia come le disponibilità finanziarie siano abbondanti e per certo i contributi superiori a praticamente tutte le “size” di investimento dei fondi di venture capital italiani (3 milioni ad esempio per FTI, singolo round).
Ora, stante la disposizione di tutti i pezzi del puzzle sul tavolo, si cercherà di delineare la soluzione sopra anticipata.
Accedere a un bando di finanziamento come quelli sopra evidenziati comporta uno sforzo intellettuale e la disponibilità di competenze non usuali e certamente non comuni. Il costo di chi redige in outsourcing questi bandi, per seguirli completamente sino alla rendicontazione è spesso superiore ai 40.000 €, rendendoli nei fatti limitati a una ristrettissima cerchia di imprenditori molto ben introdotti e patrimonializzati (o in alternativa all’interno di sistemi pubblici che possano garantire la medesima prestazione professionale ma senza esborso finanziario) mentre l’ideale sarebbe consentire l’accesso a questi bandi anche a coloro che siano dotati solo di idee interessanti ma senza risorse finanziarie.
Attualmente il mercato italiano dei professionisti specializzati in bandi europei è caratterizzato da pochi operatori e quasi tutti valorizzano immediatamente la propria prestazione con congruo anticipo a cui si fa seguire successivamente, qualora il bando venga aggiudicato ai propri clienti, un’ulteriore fee a successo.
Le proposte per ottenere queste prestazioni con remunerazione totalmente a successo non vengono quasi mai accolte, per evidenti ragioni legate alla percezione del rischio superiore ai benefici.
La proposta che sintetizza e congiuntamente risolve le esigenze precedentemente descritte potrebbe invece far leva sulla possibilità da parte dell’azienda di ricorrere al comma 4° dell’art. 27 Decreto Legge 179/2012 e non offrire quote della Srl ai prestatori di servizi finalizzati ai bandi di finanziamento ma strumenti cd. di quasi equity, ossia che garantiscano un duratura remunerazione senza potere di interferire nella gestione con il voto d’assemblea. Vi sono diverse forme giuridiche possibili (ormai anche accettabili nel diritto italiano) che permetterebbero di riallineare il pay out – flusso di remunerazione del prestatore di servizi assimilandolo a quello di un socio, per cui ritornerebbe ad aver senso la valutazione di un rischio di fee solo a successo accompagnata alla trasformazione del credito professionale in ogni caso maturato (a prescindere dai risultati) in strumenti quasi equity. Senza contare il beneficio fiscale in quanto si tratterebbe di redditi non tassati ai fini IRPEF.
Il percettore di questi strumenti per un numero determinato di anni, più o meno lungo secondo quanto concordato tra le parti, avrà l’opportunità di rientrare dell’investimento professionale fatto con in più la possibilità di aggiudicarsi la success fee (auspicabilmente morigerata, in quanto le risorse dovrebbero restare nella società per lo sviluppo di quest’ultima dove anch’esso ne trarrebbe indirettamente del valore.
Contemporaneamente l’imprenditore non avrebbe nessuno in consiglio di amministrazione che pretenda di “saperne di più di chi ha sviluppato l’idea” e avrebbe inoltre più tempo da dedicare all’impresa, meno tempo sprecato in (spesso) inutili percorsi a ostacoli presso i venture capital, oltre a buone probabilità di avere buone risorse finanziarie per lo sviluppo senza dover svendere quote a venture capitalist nel momento di massimo bisogno (torneremo in un successivo articolo sul circolo vizioso dell’investitore di venture capital che senza fornire risorse finanziarie ha incertezza di quel che paga dovendo ridurre al massimo la valutazione e incrementare al massimo la partecipazione che proprio con il suo capitale verrebbe invece lenito ma con la complicazione che si troverebbe a pagare per benefici derivanti dal proprio investimento).
Infine i finanziamenti della Commissione Europea potrebbero raggiungere un miglior risultato e quindi apportare maggiore beneficio alla collettività, riuscendo a raggiungere una platea superiore di quella che dispone delle risorse per poter presentare un progetto con buona probabilità di successo.
Nella nota strategia di marketing si tratterebbe di una negoziazione WIN-WIN-WIN.
Perché non provarci?!!
MA 2015
Work for equity e Horizon 2020 nelle start up innovative:
Written by EditorUn’alternativa alla difficoltosa ricerca di capitale di rischio seed nel mercato (esangue) degli investitori italiani
Con il presente articolo si intende proporre una via alternativa per colmare una lacuna cronica del sistema finanziario italiano: la scarsità del capitale di rischio.
In particolare ci si focalizzerà sugli aspetti più strettamente legati alla realtà delle start up innovative, ove la scarsità di capitale di rischio si rivela spesso esiziale.
Il percorso che si propone intende fornire una via alternativa alla ricerca spesso spasmodica da parte del nuovo imprenditore, il quale anziché dedicare tutte le proprie energie per lo sviluppo del prodotto / servizio da lanciare sul mercato, deve spesso trasformarsi in una sorta di “piazzista” della propria azienda, cercando presso tutti gli investitori di capitale di rischio quanto necessario per poter procede con lo sviluppo del proprio progetto.
Vi è una moltitudine di articoli che narra della frustrazione che questo tipo di attività cagiona al neo imprenditore, spesso spingendolo ad abbandonare la propria iniziativa davanti allo sconforto che ne deriva.
Senza voler entrare nello specifico del problema sopra evidenziato si intende con il presente articolo fornire una proposta per aggirare parzialmente tale ostacolo.
La proposta si evidenzia come un coacervo complesso di norme, spesso speciali e dedicate solo alle start up, congiuntamente alle opportunità che si aprono in seno all’Unione Europea per quanto riguarda i bandi di finanziamento agevolato.
Cominciando dalla norma “madre”, anche l’Italia ha deciso di dotarsi, con il Decreto Legge 179/2012“Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, di legislazione speciale a supporto delle nuove imprese (cd: “start up innovative”).
All’interno di tale normativa, più volte modificata a partire dalla legge di conversione, vi è l’articolo 27 “Remunerazione con strumenti finanziari della start-up innovativa e dell'incubatore certificato” , il quale fornisce strumenti specifici per sopperire alla cronica mancanza di capitale delle imprese start up ma anche di professionalità di alto profilo, stante l’impossibilità di remunerarle.
L’ipotesi del legislatore era certamente suggestiva ma si è rilevata sostanzialmente non percorribile e nei fatti scarsamente utilizzata. Il paradigma che sottintende la norma consente, infatti, il reclutamento di lavoratori dotati di alto valore di mercato senza un esborso diretto di risorse finanziarie ma attraverso l’utilizzo di vari strumenti (capitale ma anche strumenti partecipativi).
Nella sostanza lo scambio ipotizzato consisteva in un rapporto sinallagmatico a prestazioni differite, in cui prima l’impresa riceve una prestazione ad alto valore aggiunto e molto richiesta dal mercato, successivamente, anche grazie all’apporto di queste risorse professionali, una volta conseguito un risultato finanziario soddisfacente, il realizzo da parte del prestatore di quanto ricevuto per “monetizzare” la propria attività prestata.
Appare però di tutta evidenza come il rapporto risulti viziato da un’allocazione del rischio del tutto sperequata, a favore della start up, che di fatto ne ha reso difficoltosa l’adozione.
Difficile ipotizzare che vi siano molte controparti disposte a cedere una risorsa di mercato ambita e ben prezzata in cambio di qualcosa solo eventuale, differita e di esito affatto incerto.
Inoltre molto spesso l’imprenditore vede l’assegnazione di quote societarie come un evento traumatico, stante l’insofferenza verso l’intromissione nel processo decisionale societario da parte di persone aliene alla realtà primordiale che ha portato alla genesi dell’iniziativa.
La proposta, partendo da queste evidenze , cercherà di ri-bilanciare la distribuzione del rischio tra le due parti (a cui vedremo se ne aggiungerà una terza).
Ma tutto quanto sopra esposto non è ancora sufficiente al fine di consentire lo sviluppo di una nuova iniziativa imprenditoriale. All’”appello” manca ancora il capitale che serve, oltre che per pagare le risorse, anche per finanziare gli investimenti.
Per non ricadere in un processo tautologico è necessario introdurre nello scenario prospettato un’altra parte: l’Unione Europea, attraverso la Commissione, con i relativi bandi di finanziamento destinati alle nuove imprese.
Non si entra in questo articolo nel dettaglio degli specifici bandi, (peraltro chi scrive è Expert evaluator della Commissione per diversi bandi tra cui Horizon 2020 SME1, SME2, FTI, etc) ma si evidenzia come le disponibilità finanziarie siano abbondanti e per certo i contributi superiori a praticamente tutte le “size” di investimento dei fondi di venture capital italiani (3 milioni ad esempio per FTI, singolo round).
Ora, stante la disposizione di tutti i pezzi del puzzle sul tavolo, si cercherà di delineare la soluzione sopra anticipata.
Accedere a un bando di finanziamento come quelli sopra evidenziati comporta uno sforzo intellettuale e la disponibilità di competenze non usuali e certamente non comuni. Il costo di chi redige in outsourcing questi bandi, per seguirli completamente sino alla rendicontazione è spesso superiore ai 40.000 €, rendendoli nei fatti limitati a una ristrettissima cerchia di imprenditori molto ben introdotti e patrimonializzati (o in alternativa all’interno di sistemi pubblici che possano garantire la medesima prestazione professionale ma senza esborso finanziario) mentre l’ideale sarebbe consentire l’accesso a questi bandi anche a coloro che siano dotati solo di idee interessanti ma senza risorse finanziarie.
Attualmente il mercato italiano dei professionisti specializzati in bandi europei è caratterizzato da pochi operatori e quasi tutti valorizzano immediatamente la propria prestazione con congruo anticipo a cui si fa seguire successivamente, qualora il bando venga aggiudicato ai propri clienti, un’ulteriore fee a successo.
Le proposte per ottenere queste prestazioni con remunerazione totalmente a successo non vengono quasi mai accolte, per evidenti ragioni legate alla percezione del rischio superiore ai benefici.
La proposta che sintetizza e congiuntamente risolve le esigenze precedentemente descritte potrebbe invece far leva sulla possibilità da parte dell’azienda di ricorrere al comma 4° dell’art. 27 Decreto Legge 179/2012 e non offrire quote della Srl ai prestatori di servizi finalizzati ai bandi di finanziamento ma strumenti cd. di quasi equity, ossia che garantiscano un duratura remunerazione senza potere di interferire nella gestione con il voto d’assemblea. Vi sono diverse forme giuridiche possibili (ormai anche accettabili nel diritto italiano) che permetterebbero di riallineare il pay out – flusso di remunerazione del prestatore di servizi assimilandolo a quello di un socio, per cui ritornerebbe ad aver senso la valutazione di un rischio di fee solo a successo accompagnata alla trasformazione del credito professionale in ogni caso maturato (a prescindere dai risultati) in strumenti quasi equity. Senza contare il beneficio fiscale in quanto si tratterebbe di redditi non tassati ai fini IRPEF.
Il percettore di questi strumenti per un numero determinato di anni, più o meno lungo secondo quanto concordato tra le parti, avrà l’opportunità di rientrare dell’investimento professionale fatto con in più la possibilità di aggiudicarsi la success fee (auspicabilmente morigerata, in quanto le risorse dovrebbero restare nella società per lo sviluppo di quest’ultima dove anch’esso ne trarrebbe indirettamente del valore.
Contemporaneamente l’imprenditore non avrebbe nessuno in consiglio di amministrazione che pretenda di “saperne di più di chi ha sviluppato l’idea” e avrebbe inoltre più tempo da dedicare all’impresa, meno tempo sprecato in (spesso) inutili percorsi a ostacoli presso i venture capital, oltre a buone probabilità di avere buone risorse finanziarie per lo sviluppo senza dover svendere quote a venture capitalist nel momento di massimo bisogno (torneremo in un successivo articolo sul circolo vizioso dell’investitore di venture capital che senza fornire risorse finanziarie ha incertezza di quel che paga dovendo ridurre al massimo la valutazione e incrementare al massimo la partecipazione che proprio con il suo capitale verrebbe invece lenito ma con la complicazione che si troverebbe a pagare per benefici derivanti dal proprio investimento).
Infine i finanziamenti della Commissione Europea potrebbero raggiungere un miglior risultato e quindi apportare maggiore beneficio alla collettività, riuscendo a raggiungere una platea superiore di quella che dispone delle risorse per poter presentare un progetto con buona probabilità di successo.
Nella nota strategia di marketing si tratterebbe di una negoziazione WIN-WIN-WIN.
Perché non provarci?!!
MA 2015
Un salone sottotono quest'anno, caratterizzato da non molte novità. Segno che la fiducia nelle prospettive future ancora non è riapparsa tra gli operatori di settore. Tra le lodevoli eccezioni il gruppo Piaggio-Aprilia-Guzzi ormai pronto ad estendere la propria presenza in ambito mobilità urbana con una 4 ruote motorizzata con gli affidabilissimi motori della propria gamma scooter. Honda ha portato al salone un paio di prototipi basati su componenti tecniche prelevati dalla "banca organi meccanici" del gruppo di Tokio. Uno scooter intenzionato ad impensierire il Tmax Yamaha e una sport tourer - enduro che punta dritto dritto alla nuova Supertenere Yamaha. Qualcuno ha delle ossessioni da quelle parti ? Giusto per fugare ogni dubbio di quanto il moto mondiale abbia influenza sulla produzione di serie. Perlomeno nelle sue dinamiche competitive. In chiusura vogliamo spendere alcune parole per sottolineare i risultati, a nostro giudizio molto positivi, di due case motociclistiche lombarde di recentissima costituzione.
La CR&S e Quadro.
La prima, in piena espansione, presenta salone delle sculture meccaniche da togliere il fiato. L'unico rischio la sindrome di Sthendal con le ovvie conseguenze in termini di compatibilità dei relativi sintomi [svenimento, n.d.r.] con il necessario dinamismo per la conduzione del mezzo. Noi abbiamo però la soluzione: tenetela in salotto, ne varrà comunque la pena. La seconda società, Quadro, è stato fondato dal papà del MP3. Due sono i veicoli presentati: un 3 ruote che riprende in toto le caratteristiche del mezzo tra ruote [migliorandole ci ha detto il costruttore] che Piaggio ha portato al successo e un nuovo quattro ruote. Quest'ultimo nel video di presentazione alla stampa (ma che si può già vedere anche su youtube) ha evidenziato doti di stabilità e piega in grado di stupire anche più smaliziati smanettoni della Cisa. All'insegna della flessibilità diremmo noi. Non nel senso dell'utilizzo adatto a tutti i tragitti e con buone capacità di carico. Questo è scontato su un mezzo moderno. Flessibilità per quanto riguarda il motto: mi piego e non mi spezzo!
TB Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 02/11/2010
Il mondo gira ecologico. Potrebbe essere questo lo slogan che ha caratterizzato l’attività del Ministero dell’Ambiente nella politica di promozione della diffusione di veicoli “verdi”. I dati raccolti in seguito agli interventi in proposito (incentivi a fondo perduto). I dati parlano di un successo pari alla vendita di 57 mila biciclette in 4 giorni registrando una risposta estremamente positiva nella città di Roma con un numero di oltre 1500 bici e la Regione Lombardia con 11.000. A questi si aggiungono anche gli importanti risultati ottenuti dalle bici elettriche, presentate già durante il salone del ciclo negli scorsi anni, stanno riscuotendo successo.
Un mercato che è in crescita grazie alla coniugazione di aspetti fondamentali in un unico mezzo: la possibilità di fare movimento fisico e contemporaneamente “avere una spinta” dal motore. Si possono raggiungere i 25 Km/h, senza carburante o gas di scarico pedalando senza eccessiva fatica grazie al supporto elettrico. Lo sviluppo di questo segmento particolare di biciclette, secondo gli operatori del settore, ha registrato una crescita a due cifre in Francia nel 2009, pari al 67%. L’Italia sta seguendo il filone d’oltralpe ( si pensi all’Olanda dove le bici elettriche coprono una quota del 20% del mercato, se ne contavano ben 90.000 a fine 2007) e anche grazie alle politiche promosse dal Ministero, il numero delle bici elettriche sta aumentando. Dati incoraggianti che peraltro potranno apportare lo sviluppo di nuove professionalità a supporto della vendita ed assistenza del veicolo elettrico, oltre che rappresentare un incoraggiante passo verso lo sviluppo di una coscienza sempre più ecologica.
TB finanzastraordinaria.it 10/09/2009
START-UP, SEI AZIENDE ALLA PROVA DEGLI “ANGEL”
Si terrà il 22 novembre presso il Polo Tecnologico di Rovereto, la prova delle sei start up selezionate nell'evento promosso da Trentino Sviluppo e Iban. Un forum di investimento early stage in cui le giovani aziende, avranno dieci minuti per"giocarsi" la partita con potenziali investitori.
Dopo mesi di preparazione finalmente il banco di prova per verificare se l'elevator pitch sarà in grado di convincere gli investitori e dare il via allo sviluppo dell'idea imprenditoriale.
Una promozione della cultura di impresa e anche qualcosa di più, come sottolinea Tomaso Marzotto Caotorta, segretario generale IBAN: "L'edizione FEST 2010 avrà la prospettiva di creare un Business Angel Network (BAN) trentino, attivo proprio su questi progetti innovativi in provincia."
TB finanzastraordinaria 17 novembre 2010
Oggi dedichiamo un articolo un po’ curioso ma certamente non meno interessante, che transita velocemente dal mecenatismo per poi finire altrettanto edonisticamente nel piacere del gusto. Scrivere un manuale dello sbaffo a Milano vuol essere una trovata divertente per esercitare la mente e rendere la serata meno noiosa. Pertanto se avete esaurito i locali consigliati dai vari inserti di giornali che vi dicono dove mangiare la pizza più buona della città, potete esercitarvi nella fine arte dello “sbaffo”.
Come si esercita questa nuova forma artistica? Attraverso una sapiente navigazione del web o direttamente attingendo alle iniziative che trovate sui giornali. Quante volte avete ricevuto una mail con promozioni di vario tipo? O newsletter con le ultime novità collegate alle vostre passioni? A me è capitato per esempio di vivere una settimana allo sbaffo! A partire dalla serata MP3 Tour, che mi ha dato occasione di provare il nuovo scooter ibrido Piaggio e in più mi ha offerto una chiavetta usb, un porta documenti (Mp3 of course) e un aperitivo gratuito in uno dei locali più prestigiosi del Sempione. Una vera serata cool. Seguono inaugurazioni di mostre, vernissage, ma non solo. Le conferenze, gli eventi gratuiti: ogni volta è un cocktail sapientemente dosato di cultura e piacevole degustazione di un ricco aperitivo. Insomma, se volete rendere più frizzante la vostra serata e diversificare la routine ormai organizzare un aperitivo tradizionale può essere molto out!
TB finanzastraordinaria 30/09/2010
E’ stato aperto ieri, 24 settembre, il fondo Made in Lombardy, bando europeo nell’ottica di supporto concreto alla necessità di aumento della capacità competitiva delle imprese sul territorio lombardo. Grazie a questo supporto finanziario gli imprenditori potranno avere a disposizione due linee di erogazione: 500 milioni di euro per la realizzazione di nuovi programmi di investimento e 33 milioni di euro per le garanzie.
Una risorsa indubbiamente importante per poter dare nuovo credito, inteso nelle due accezioni semantiche di “fiducia” nelle proprie risorse e investimento finanziario, alle aziende e agli imprenditori disposti a credere nel processo di innovazione della propria struttura e nel rinnovo competitivo del business sul mercato nazionale o internazionale. All’interno del fondo è concepito un ulteriore strumento agevolato che mette a disposizione ben 4 milioni di euro anche per sostenere le spese dedicate alla consulenza necessaria per la strutturazione di un business plan da presentare unitamente alla domanda di partecipazione. Made in Lombardy rimarrà operativo fino ad esaurimento dei fondi.
TB 25/09/2009
Quando l’impresa è donna…si incentiva. Molti i finanziamenti previsti da diverse regioni, in primis Regione Lombardia, che presentano importanti agevolazioni per le imprese composte per la maggior parte da donne e fondate da donne. Un contributo a tasso agevolato studiato per garantire opportunità a nuovi progetti imprenditoriali “in rosa” sia sotto forma di nuove imprese da costituirsi che in forma di imprese familiari o ditte individuali esistenti da non più di un anno dalla data di presentazione della domanda. Il requisito per ottenere l’agevolazione è una compagine sociale costituita da almeno 2/3 di donne, requisito a cui spesso i bandi di questo tipo permettono di sommare anche la giovane età del capofila del progetto, garantendo in tali casi un punteggio maggiore nel momento di analisi della domanda. Ogni bando regionale espone in maniera chiara i requisiti di partecipazione, le caratteristiche del finanziamento e l’entità del contributo. Inoltre sono sempre ben specificate le misure dell’agevolazione: non tutte le spese rientrano nel contributo. E’ necessario prestare attenzione a tutte le istruzioni riportate a bando per istruire una pratica che possa ottenere al vaglio della commissione un parere positivo ed ottenere il contributo richiesto. Un esempio molto significativo di intervento a favore dell’impresa al femminile è costituito dalla legge Legge215/92 con cui il Ministero dello Sviluppo Economico ha promosso l’erogazione di Finanziamenti a fondo perduto.
TB 02/10/2009
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Processo? Da Marzo 2011 si cambia ritmo. Non è uno slogan pubblicitario ma una delle importanti novità che il prossimo anno investirà tutti coloro che decidessero di intentare una causa civile. Il nuovo ruolo della conciliazione sarà giocato da un organismo deputato che tenterà prima della nascita di una controversia in ambito civilistico di portare allo stesso tavolo i “contendenti” per verificare le possibilità di trovare un accordo. A partire da marzo 2011 pertanto tutti avvisati: prima si concilia.
Ecco dunque una riforma che obbliga, prima di ricorrere alla causa civile, a rivolgersi ad un professionista denominato conciliatore (riconosciuto dal ministero e dunque in possesso dei titoli abilitanti) per dirimere la controversia prima di passare al normale iter del processo civile. In questo modo si potrà porre un primo passo per risolvere più velocemente la questione oggetto del contenzioso, cercando di riportare a ragionevolezza le parti senza arrivare al processo civile. D’altro canto la riforma prevede anche un utile ritorno in termini di tempi sia per i contendenti che per i tribunali. Si potrà dirimere un disaccordo (più o meno intenso e complesso) con tempi più rapidi, sollevando l’iter civile dall’istruzione di nuove cause.
Per tutti coloro che, speranzosi di poter trovare una ben più “conciliante” (è il caso di dirlo) soluzione alle liti che li assediano da tempo, il riferimento normativo è il decreto legislativo n. 28 risalente al 4 marzo 2010.
TB 01/08/2010
Private Equity e Venture Capital: prospettive per un anno
Written by EditorE’ uscito in questi giorni il risultato dell’indagine Italy Equity Confidence Survey, che come ogni semestre tende ad analizzare le aspettative degli operatori italiani attivi sul fronte dei fondi di investimento. Deloitte Financial Advisory Services ha interpellato i principali fondi di Venture Capital e Private Equity attivi in Italia per cercare di capire quali siano effettivamente le prospettive per l’anno che sta iniziando, quali timori e reazioni in relazione al delicato momento storico-economico che stiamo attraversando. Si delinea un quadro generalmente più roseo delle aspettative rispetto all’anno che abbiamo appena lasciato.
Il primo dato emergente, supportato da oltre la metà del campione considerato riguarda l’attesa di un maggior equilibrio nel settore tanto da indurre a sperare gli operatori che la crisi del settore sia risolvibile entro la fine dell’anno. Potrebbe essere considerazione di questo pensiero anche il rilevante numero di fondi operativi in Italia, passato dal 32,3% al 39,7%. Una delle problematiche che ha rivestito maggior peso nell’ambito del panorama finanziario dei fondi di investimento, non solo italiani, è certamente rappresentato dalle partecipazioni e acquisizioni “in pancia” che ovviamente dinanzi alla depressione economica non hanno potuto essere dismesse per evitare forti perdite di investimento e minusvalenze.
In realtà anche relativamente a questo aspetto gli operatori si auspicano un panorama più roseo prevedendo una maggiore stabilità dei prezzi di cessione. Un dato che viene seguito dall’affermazione tra le way out privilegiabili di trade sale (41%) e write off (29.5%). Obiettivo dei fondi è anche quello di dedicare maggiore tempo allo scouting di nuove opportunità, privilegiando le operazioni di expansion come miglior settore di riferimento per quasi il 62% degli intervistati.
TB 15/01/2010
Si è inaugurata oggi la prima delle "Giornate dell'economia cooperativa" con l'intervento del Presidente di Legacoop Lombardia Luca Bernareggi che ha subito portato l'attenzione sull'importanza che questa due giorni di dibattito come un'occasione non fine a se stessa ma punto di partenza per lo sviluppo di riflessioni sulla vita delle imprese cooperative e sul futuro. In particolare è stata posta l'attenzione sul tema del lavoro, che come sottolineato anche da Giuliano Poletti, Presidente di Legacoop, nelle cooperative non è oggetto di delocalizzazione perchè "non vogliono e non possono farlo".
Luca Bernareggi ha ulteriormente sottolineato il valore che viene riconosciuto al lavoro, al rispetto della legalità come fonte di emancipazione, l'attenzione verso l'analisi degli scenari odierni e la valorizzazione dei punti di forza delle cooperative ma anche la considerazione dei loro punti di debolezza per trovare soluzioni che orientino ad una maggiore competitività nel sistema economico.
Le cooperative infatti sono inserite in un contesto da cui non possono prescindere e devono puntare sulla loro professionalità, organizzazione e territorialità tenendo conto tuttavia del fatto che questo ultimo aspetto rappresenta anche un punto di criticità per la presenza meno forte in alcune regioni e il rischio di "dispersione".
Poletti ha inoltre ricordato l'impegno che Legacoop profonde per la valorizzazione del lavoro sottolineando la creazione nell'ultimo decennio di ben 500 mila posti di lavoro.
TB 13/01/2011
Società di Gestione del Risparmio –SGR e municipalizzate
Written by EditorA seguito dei recenti provvedimenti relativi alla privatizzazione delle municipalizzate, penso sia utile tornare sul tema. Partendo da un mio articolo precedente scritto a seguito del “Decreto Lanzilotta” e modifiche successive.
Oggi come allora , schematizzando, trattasi del tentativo di “alleggerire” la presenza nei servizi pubblici da parte dei comuni o più in generale degli enti pubblici territoriali.
Ora c’è anche un disposto normativo che obbliga gli amministratori comunali a disinvestire le partecipazioni detenute nelle municipalizzate, il DL 112 del 2008.
La critica (spesso levata di scudi) che più spesso viene esposta riguarda l’impossibilità da parte degli enti pubblici di dismettere le proprie quote/azioni in tempi così brevi da non consentire una corretta valutazione del procedimento e un’inflazione di offerta sul mercato che ne penalizzerà oltremodo la valutazione.
Non credo si possa ritenere del tutto infondata tale obiezione, ma come sempre facciamo nei nostri articoli, vorrei proporre una possibile soluzione in grado di conciliare tutte le esigenze delle parti in causa (amministratori che lamentano il danno e legislatore che vuole il distacco dal cordone ombelicale delle municipalizzate).
La proposta
Utilizzare un veicolo di investimento chiamato SGR capitale ridotto (meglio noto come SGR Universitaria) come da provvedimento Banca d’Italia del 18/7/2001. Il veicolo i questione è estremamente versatile ed efficiente sotto vari punti di vista:
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Presenta notevoli agevolazioni fiscali (si veda nello specifico l’approfondimento dell’articolo “SGR capitale ridotto: una soluzione per la privatizzazione delle municipalizzate”, Family Office febbraio 2008);
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Eccellente profilo di investimento. Limitata necessità di capitale rispetto ad altre SGR;
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Corporate Governance già impostata sulla prevalenza del soggetto pubblico;
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Arena competitiva e di osservazione del controllo più agevole da controllare da parte del governo centrale;
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Spazio immediato per cercare una compartecipazione dei privati fino al 49% di capitale ma con robusta corporate governance.
Certo trattasi di compromesso, ma come nella nostra normale vita familiare, spesso il compromesso rappresenta la miglior soluzione per conciliare interessi configgenti.
Il legislatore non otterrebbe un immediato distacco (desiderato) dei comuni dalla proprie municipalizzate, ma un deciso riordino certamente si. Pensate solo al numero di consiglieri che si andrebbero a ridurre (I consiglieri dovrebbero essere quelli della SGR in primis, ma in ogni caso per la nomina andrebbe trovata una mediazione nell’ambito dell’attività di gestione della partecipata confluita nel fondo gestito dalla SGR).
L’attività di controllo politico (sinergica con il controllo comunque esercitato da Banca d’Italia) sicuramente renderebbe più semplice isolare le situazioni che spesso si sono rivelate “buchi neri” di risorse finanziarie.
I comuni invece troverebbero immediato adempimento rispetto a quanto voluto dal legislatore senza inutili battaglie tra istituzionali.
Manterrebbero la capacità strategica di coordinamento e controllo (seppure mediata)
Eviterebbe il pericolo di svendita che tanto ha destato preoccupazione tra gli amministratori locali.
Quindi abbiamo tutti gli ingredienti tecnici per “cucinare” una soluzione che possa soddisfare i palati di tutti i commensali.
Solo su un elemento rimaniamo in attesa di conferme: la buona volontà di tutti nel cercare di trovare una soluzione concordata e non afflittiva, che risponda al beneficio della comunità.
200311 Marco Arcari www.finanzastraordinaria.it docente universitario Investment techniques www.uniese.it docente universitario Corporate Finance www.uniese.it
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